L’edizione 2018 di Cinema ritrovato è più che mai un’istigazione alla bulimia cinefila. Tutte le sezioni – dagli incontri con studiosi e registi (come Steven Gundle che illustra la mostra fotografica da lui curata, sui produttori italiani, Scorsese che incontra Garrone, Jonas Carpignano, Alice Rohrwacher e Valeria Golino, o gli appuntamenti con Marina Vlady e Anna Karina, il videomessaggio di Coppola sul restaurato Tucker,…) ai film muti con l’orchestra, dai film sconosciuti che, se sono qui sai già che val la pena di vederli, a cinema classico, sperimentale, o il musical dai colori splendenti di Meet Me in Saint Louis di Minnelli, Cabaret o Grease, o il severo bianco e nero del bergmaniano Posto delle fragole, il cinema contemporaneo con la bella animazione della Gatta Cenerentola di Rak: tutto stuzzica l’appetito. Il festival inoltre si allunga nel tempo, cominciando a pieno ritmo il 23, con serate imperdibili in Piazza Maggiore nei giorni precedenti, e si amplia nello spazio, con le luccicanti proiezioni a carboni in piazzetta Pasolini e con l’aggiunta di una sala, il Cantiere Modernissimo dove verrà proposta una serie muta, The Wolves of Kultur, frutto della collaborazione al restauro di ben 15 cineteche, che sfida le serie contemporanee quanto azione e suspense.

EMMER

Il programma include poi una retrospettiva dedicata a Luciano Emmer, dai suoi documentari d’arte – un genere che in pratica ha inventato – al canonizzato Domenica d’agosto, ma anche a Terza Liceo o La ragazza in vetrina, che visti all’epoca lasciavano una traccia emotiva profonda e gli occhi lucidi. Per ridere invece c’e’ Buster Keaton coi suoi classici The Navigator e Go West, perfetti meccanismi della comicità muta. La serie dedicata alla Fox propone molte sorprese, oltre a Settimo cielo, uno dei più bei melo muti, a firma di Frank Borzage e l’insolito The Brat (La trovatella) di John Ford, su uno scrittore che studia una scatenata ballerina di fila, per trarne nuova ispirazione.

I titoli del muto italiano includono il lavoro di sceneggiatore e adattatore di Arrigo Frusta con la casa torinese Ambrosio, compreso un workshop sulla sua funzione cruciale all’interno della produzione muta torinese, oltre al restauro del Nerone di Maggi, datato 1909, e altri classici come Una partita a scacchi, Santarellina di Caserini e l’attualissimo La tratta dei bambini.

Il piatto forte del muto è sempre la selezione dei film del «centenario», ovvero realizzati nel 1918, una grande annata in ogni parte del mondo: The Lady and the Hooligan di Majakovskij, L’avarizia in cui dei genitori avidi contrastano il matrimonio dei figli, costringendo il ragazzo ad emigrare in America e la ragazza, interpretata da Francesca Bertini, a diventare una mantenuta, mentre la diva sua rivale, Lyda Borelli, appare in uno dei suoi cavalli di battaglia, Carnevalesca scritto da Lucio D’Ambra, un fantasy bizzarro, dai costumi sfarzosi che culmina nel drammatico carnevale nero, La moglie di Claudio di Gero Zambuto, vicenda di due separati in casa, in cui il marito benpensante, impegnato a costruire un cannone micidiale, uccide la moglie fedifraga, ricattata dal nemico per ottenere il prezioso progetto, e la spettacolare Gerusalemme liberata di Guazzoni, con grandiose scene di massa, gli assalti dei mori, e i duelli cavallereschi.

MAO

Per gusti più internazionali una retrospettiva di film cinesi girati tra il 1941 al 1951, che attraversano cioè la guerra civile fino alla vittoria di Mao, riproponendo l’alto standard raggiunto alla fine del muto, contraddizioni socio-politiche incluse.
John Stahl, il più stilizzato dei registi la cui fama è legata al melodramma, è l’autore de Lo specchio della vita e del cult sublime ai limite dal trash, Leave Her to Heave (Femmina folle), che vanta una delle protagoniste femminili più perfide della storia del cinema, seducente come la Medusa ma davvero «cattiva dentro».
C’è naturalmente anche spazio per le donne: oltre all’ampio omaggio a Elvira Notari, il lavoro di Ella Bergmann-Michel, artista costruttivista tedesca che realizzò film sociali negli anni trenta, inclusa la fatidica campagna elettorale del 1932, che precedette l’ascesa di Hitler.

Per chi cerca invece i film maledetti, The Last Movie di Dennis Hopper (1971) autentico capolavoro misconosciuto, che i critici al festival di Venezia non seppero come leggere, tanto era iconoclasta rispetto al western, e allo stesso tempo ironico quanto teorico rispetto agli spaghetti western e al loro terzomondismo.