L’inizio della nuova era con l’insediamento dal primo maggio del nuovo imperatore Naruhito, sta monopolizzando l’attenzione della pubblica opinione giapponese e di tutti i media del Paese. L’occasione è anche un motivo per riflettere sulla figura dell’imperatore e sulla sua utilità, pratica e simbolica nel Giappone contemporaneo. Il 30 aprile, l’ultimo giorno dell’era Heisei, ma anche nella giornata del primo maggio, gruppi di attivisti contrari all’imperatore si sono raggruppati sia a Tokyo, in varie zone della metropoli, che Osaka marciando e brandendo vari striscioni fra cui alcuni che recavano lo slogan «Non serve un imperatore», manifestando così il loro discontento verso la struttura imperiale con tutto ciò che porta con sé per la società nipponica.

Scortato dalla polizia il corteo del 30 aprile nella capitale è stato subito attaccato da una contro protesta portata avanti da un gruppo di ultra nazionalisti dell’estrema destra, abituati a manifestazioni fracassone e in verità con pochissimi partecipanti quasi ogni fine settimana lungo tutto il corso dell’anno.
Akihito, colui che ha regnato negli ultimi trent’anni, è stato una persona molto bilanciata e con vedute abbastanza progressiste e pacifiste, ma quello che la figura rappresenta per la società nipponica nel suo complesso e nel suo passato resta ancora un nodo assai problematico. Non va certo per il sottile una mostra inaugurata a Tokyo il 29 aprile scorso e che si concluderà domenica prossima intitolata Fuzakenna tenno sei – Abolish The Emperor System Please Fuck Off. L’evento manda a quel paese il sistema imperiale attraverso quadri realizzati dall’artista Kai Koyama, probabilmente un modo di esprimere un sentito dissenso ma anche, vista la tempistica, un modo per sfruttare il cambio di era.

Più sfumato ed ampio, ma non per questo meno tagliente, l’approccio proposto da un mini festival che negli ultimi giorni di aprile ha presentato, in un teatro a Tokyo, una serie di film che trattano il tema del sistema imperiale e del suo intreccio con il passato militarista ed espansionista del paese, e più in generale sul tema dei fascismi che hanno sconvolto il pianeta negli ultimi cinquant’anni.
Intitolato Festival della Costituzione, in riferimento alla costituzione pacifista giapponese sotto attacco da parte delle destre politiche già da qualche decennio, la manifestazione ha presentato una decina di film fra cui il «classico» Lontano dal Vietnam, ma anche opere meno note al pubblico occidentale.

Spicca il documentario The Ants, realizzato da Kaoru Ikeya nel 2007 assieme a Waichi Okumura che durante la Seconda guerra mondiale era un giovane soldato nelle file dell’esercito imperiale impegnato sul fronte cinese. L’anziano ritorna, dopo più di cinquant’anni, nelle zone dove lui ed i suoi compagni furono costretti a diventare macchine da guerra ed uccidere la popolazione a forza di baionettate. Pur ammettendo di aver subito un vero e proprio lavaggio del cervello, Okimura si rende conto di non essere esente da colpe e la sua visita in Cina è anche un’occasione per chiedere scusa degli atroci crimini commessi al tempo e per porgere una preghiera ai deceduti.

Tocca uno dei temi più disputati fra Giappone e Cina, In the Name of the Emperor, documentario del 1998 diretto da Christine Choy e Nancy Tong, opera che ripercorre il massacro di Nanchino, quando i soldati dell’armata imperiale nipponica, durante la seconda guerra sino-giapponese nel 1937, operarono un sistematico stupro sulle donne del luogo, appunto nel nome dell’imperatore.

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