Scomparso a soli 45 anni nel 1963, Yuzo Kawashima è stato un regista che con i suoi lavori, specialmente quelli girati negli anni cinquanta, ha rappresentato, e rappresenta ancora oggi, l’anello di congiunzione fra il cinema giapponese post bellico classico e quello dei nuovi autori come Shohei Imamura, Nagisa Oshima, Kiju Yoshida o Masahiro Shinoda, che si sarebbero affacciati ed imposti dagli anni sessanta in poi. Ancora poco conosciuto al di fuori dell’arcipelago, Kawashima, specialmente nell’ultima parte della sua carriera, ha realizzato lavori che sono altamente considerati in patria: A Sun-Tribe Myth from the Bakumatsu Era del 1957 figura ad esempio al quarto posto nella classifica dei migliori film giapponesi di sempre, stilata dalla rivista «Kinema Junpo» nel 2009, dove è presente fra i primi venti anche il suo Suzaki Paradise del 1956.

Da un paio di settimane a questa parte, la piattaforma streaming Mubi ha cominciato una mini retrospettiva dedicata proprio a Kawashima ed alla sua ultima produzione, lungometraggi che raccontano le trasformazioni del Giappone e della società nipponica durante il primo decennio post bellico.

Lo sguardo e la produzione di Kawashima è varia, si va da lavori abbastanza leggeri quali Tales of Ginza del 1955, dove un uso autoironico ed inventivo della voce narrante accompagna le vicende amorose nel quartiere di Ginza, ad un film come il già citato Suzaki Paradise, dove lo sguardo è rivolto agli strati sociali meno adagiati della società giapponese degli anni cinquanta. Una giovane coppia senza lavoro si ritrova nel quartiere a luci rosse di Suzaki a Tokyo, dove viene aiutata da una donna che gestisce un piccolo bar. La rivalità e la gelosia per uscire da questo mondo soffocante è raccontata da Kawashima e dai suoi protagonisti senza falsi moralismi e dalla parte delle donne, in un film, in questo senso, accostabile a La strada della vergogna di Kenji Mizoguchi, realizzato nello stesso anno.

Anche quando i suoi film non sono direttamente ambientati in locali notturni o nei quartieri del piacere, i protagonisti dei lavori di Kawashima proiettano una forte carica erotica, negli sguardi, nei gesti e anche solo nell’inflessione della voce. Questo sottile erotismo sembra essere il solo modo per far breccia fra le diverse classi sociali a cui i protagonisti appartengono. Questo è uno dei temi principali anche in Till We Meet Again del 1955, melodramma e complesso triangolo amoroso tratto da un libro di Yasushi Inoue, dove brilla una meravigliosa Michiyo Aratama nel ruolo di Kyoko, attrice e stella presente in molti altri film del regista.

Le differenze sociali e di classe fra due famiglie emergono prepotentemente in The Balloon, dove l’attrazione fra una prostituta ed un ragazzo di buona famiglia finisce per distruggere la famiglia stessa e mettere in crisi il padre che alla fine sceglie di buttare tutto e di rifiutare una vita che esalta solo i valori di facciata. È interessante notare come molte di queste preoccupazioni sociali siano state sviluppate e portate alle loro estreme conseguenze nei decenni successivi specialmente nel cinema di Shohei Imamura che di Kawashima fu aiuto regista, amico e discepolo, tanto che a lui dedicò un breve documentario negli anni settanta.

La figura di Kawashima non rappresenta quindi solo un cinema da riscoprire, ed è sempre più raro trovare qualcosa di poco conosciuto in un’epoca in cui tutto sembra essere già scoperto, ma è anche un ulteriore esempio di come gli anni cinquanta giapponesi, al di là dei grandi maestri come Kurosawa, Ozu e Mizoguchi, siano cinematograficamente ancora tutti da esplorare.

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