Da qualche anno si chiama FCAAL Festival del cinema africano, d’Asia e d’America latina per dire che dall’Africa delle origini ha allargato i suoi orizzonti. Le ragioni sono state molteplici, a cominciare dal progressivo assottigliarsi della produzione africana nel suo insieme messa alle strette dai neocolonialismi produttivi di sempre contro i quali però crescono nuove generazioni, capaci di muoversi con piglio indipendente nel crossover culturale, perciò anche visuale – penso a Mati Diop coi suoi Mille soli, film premiatissimo lo scorso anno dopo l’anteprima al Fid Marseille, che ritorna laddove è partito lo zio Djibril Diop Mambety con Touki Bouki, anarchico e magnifico capovolgimento degli immaginari coloniali. O alle Rivoluzioni di Tariq Teguia, algerino, che ricomincia da Godard, non solo citazione ma sopratutto modalità di racconto dell’Africa (e il mondo) e delle sue rivolte, passate e presenti, cercandone i punti di conflitto profondi – quanto accade questi giorni in Egitto insegna.
Qui, in questi crinali degli immaginari tra i continenti più in movimento, o nelle loro reciproche contaminazioni, cerca di lavorare il festival sfidando i tagli (la perdita quest’anno dello sponsor principale l’Eni) e un ministero presente con soli 15mila euro: avventurarsi nelle zone eccentriche o considerate tali delle immagini non non piace troppo ai nostri governanti vecchi e nuovi.
Il programma. Molti i titoli che arriveranno nel capoluogo lombardo (6-12 maggio), inaugurazione con Two Men in Town di Rachid Bouchareb (London River) con Forest Whitaker e Harvey Keitel, mentre tra gli eventi speciali va segnalata la proiezione di Black Coal Thin Ice, film vincitore all’ultima Berlinale, un thriller esistenziale nella Cina del capitalismo avanzato accompagnato dal regista Diao Yinan.
In gara nei lungometraggi dodici titoli, tra gli altri Palestine Stereo di Rachid Masharawi, palestinese , talento da commedia (Ticket to Jerusalem) nel raccontare la vita quotidiana nella West Bank, che ritroviamo in questo nuovo capitolo di orrore scandalosamente «ordinario». Matar a un hombre di Alejandro Fernández Almendra, e The Rice Bomber di Cho Li, taiwanese, ispirato alla storia «vera» di un contadino che diventa terrorista per difendere i suoi diritti. Con Scheherazade’s Diary Zeina Daccache (12 Agry Lebanese) dopo l’esperienza del film precedente, torna a lavorare in carcere. Il film nasce da un laboratorio di dieci mesi con le donne recluse nella prigione di Baabda a Beirut.
Da non perdere è il nuovo film di Diane Gaye, francese, che torna ancora una volta come nel precedente Un Transport en commun, nel paese della sua famiglia, il Senegal. Lì era il musical on the road, Des étoiles è un viaggio migrante tra Dakar, l’Italia e New York in cui si intrecciano fughe, tradimenti, commedia.
Une Feuille dans le vent è il ritorno (nel concorso cortometraggi) di Jean-Marie Teno, regista di punta del cinema africano che esplora la storia del suo paese, il Camerun. Zakaria, ancora nei cortometraggi, racconta il conflitto tra generazioni in una famiglia di immigrati algerini in Francia. Dietro alla macchina da presa c’è Leyla Bouzid, figlia di Nouri, lo sguardo più politicamente irriverente del Maghreb. Da tenere d’occhio è anche la ricerca di Teboho Edkins, sudafricano, di cui qualche anno fa si era visto Gangster Project. Il punto di partenza era l’idea di girare un gangster movie in Sudafrica con «veri» gangster. Da lì, la scoperta della relazione coi suoi soggetti era diventata una riflessione sul paese oggi, sulle divisioni radicatissime anche dopo la fine dell’apartheid, e soprattutto sull’autorappresentazione dei ragazzi nei «ghetti», un mix di realtà e immaginario. Gangster Backstage riprende quei personaggi, in una serie di «confessioni» estreme, storie di strada e di galera.
Nel concorso Extr’A, dedicato alla produzione italiana – o meglio: come l’Italia racconta l’Africa – c’è Rosarno,esordio di Greta de Lazzaris che sfugge a tutti i canoni del «genere» migranti (spesso molto formattato) filmando la vita di tutti i giorni a Rosarno, prima della rivolta dei migranti. Sono frammenti di vissuto di fronte ai quali la regista pone il suo obiettivo, con chiarezza delicata. Riuscendo a cogliere il movimento meno visibile di quella realtà, uno stato delle cose che ci narra il nostro paese.