Non bastavano le bombe saudite né l’occupazione qaedista di parte delle province meridionali. Ora ad abbattersi sullo Yemen è arrivato il ciclone Chapala. Un uragano di proporzioni enormi: onde alte 9 metri sferzano la costa meridionale, in un giorno solo – calcolano gli esperti – è caduta una quantità di pioggia tre volte la media di un intero anno.

Il sud è in ginocchio, fango e acqua hanno invaso le città: almeno 40mila gli sfollati, un milione i civili a rischio di perdere la casa. Tra le città più colpite c’è Mukalla, porto della provincia di Hadramaut, da mesi in mano ad al Qaeda. Che tenta di improvvisarsi “protezione civile”, portando qualche aiuto alla popolazione, ma del tutto incapace di affrontare la crisi. Un’emergenza di dimensioni drammatiche, aggravata dall’assenza totale dello Stato.

Uno Stato che non c’è, il cui governo ufficiale gioca alla guerra per distruggere definitivamente le opposizioni. Nonostante l’ennesima piaga, l’operazione militare saudita non cessa. Né cessano i proclami anti-Houthi dell’esecutivo in esilio: ieri il premier Bahah è tornato sulla questione del negoziato, mai partito per volontà della coalizione anti-sciita. Ancora una volta il governo addossa la responsabilità del mancato dialogo al movimento ribelle Houthi, nonostante da settimane questo si sia detto pronto ad accettare la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza Onu: ritiro dalle zone occupate e abbandono delle armi, in cambio del negoziato politico.