Quarant’anni fa, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1973 un evento (quasi) epocale ebbe luogo: l’incontro a New York tra Salvador Dalì e il rocker Alice Cooper. Entrambi surreali e surrealisti il giusto, entrambi affascinati dai rispettivi personaggi e dalla rispettiva arte. E soprattutto legati dal concetto di «confusione», per tutti e due «la forma perfetta di comunicazione». In quei giorni Dalì darà vita al suo esperimento più rock, un ologramma defininito il primo «Ritratto cilindrico cromo-olografico del cervello di Alice Cooper». Un’opera d’arte inscritta negli annali del rock ma poco nota. Nonostante la presenza permanente dell’originale nel museo Dalì di Figueres (Spagna), città natale dell’artista e di una copia in quello di St.Petersburgh in Florida. Il cilindro rotante è una follia: all’interno Cooper è accovacciato, gambe incrociate, ricoperto di gioielli e in mano – a mo’ di microfono – una statuina della Venere di Milo. Dietro la testa la cervello-scultura (in gesso) con tanto di bignè al cioccolato e sopra formiche dipinte che formavano la scritta «Dalí and Alice» . Tutto tridimensionale secondo le regole della olografia di cui al tempo Dalì si era invaghito. Negli anni Settanta il maestro guardava oltre la pittura, e non a caso fu il primo a interagire con gli ologrammi che gli consentivano di stare dinanzi e alle spalle del soggetto con cui si stava cimentando.

In collaborazione con Selwyn Lissack, specializzato in olografia, e con il fotografo Russell Beal, diede vita all’ologramma di Cooper. Con il rocker che dava l’impressione di cantare o di mordere la Venere. Una splendida follia. Alice indossava una tiara di veri diamanti sulla testa e una collana. I due si erano incontrati per la prima volta a febbraio al St. Regis Hotel di New York. Dalì era con la moglie Gala, vestita in smoking: quasi un clone di Fred Astaire; lui indossava pantaloni di velluto viola e calzetti glitter che gli aveva donato Elvis. Si era presentato esclamando: «Io sono il grande e grandioso Dalì». «Salve, io sono Alice Cooper», rispose il rocker.

Furono serviti cocktail Scorpion per tutti (per la cronaca: brandy, rum bianco, rum scuro, amaretto, succo d’arancia, angostura); i drink venivano serviti in grosse tazze con dentro petali di giglio. Dalì aveva ordinato un bicchiere d’acqua bollente in cui aveva versato miele da un vasetto che teneva in tasca. A un certo punto estrasse dall’altra tasca un paio di forbici e tagliò il filo di miele che continuava a scendere. A cena non fu facile capirsi. Nei reportage delle riviste del tempo – Rolling Stone su tutte (che nel numero del 10 maggio raccontò l’evento della presentazione dell’opera) – Alice Cooper aveva rivelato che Dalì parlava contemporaneamente in cinque lingue («spagnolo, francese, portoghese, inglese e una come veniva») e che non era facile stargli dietro. «Io chiedevo una cosa, e lui mi rispondeva pensando a tutt’altro. Mi disse, ’Questa è la versione di Dalì del cervello di Alice Cooper’, risposi, ’Non avrei mai pensato di ricevere una cosa del genere’». L’unica certezza è che il maestro aveva voluto ritrarre il rocker perché lo considerava la persona più confusionaria che avesse mai incontrato. Ricordava Cooper: «Solo la confusione ci lega. Altro non c’è. Nemmeno so se ha mai sentito la mia musica, ma questo è quello che mi piace di Dalì: niente ha una logica con lui». A Dalì piaceva di sicuro il caos circense che il rocker sapeva inscenare, tutto quel sangue, i trucchi, il serpente, la ghigliottina, gli abiti di scena. Dal canto suo Alice Cooper era un grande estimatore di Dalì al punto che per la copertina di «Pretties for You», il suo debutto a 33 giri, aveva scelto il «Bambino geopolitico che guarda la nascita dell’uomo nuovo», dipinto dell’artista del 1943. Ricordava inoltre nelle interviste che «quattro componenti della mia band avevano studiato storia dell’arte, noi adoravamo Dalì, ci consideravamo dei surrealisti».

Prima della session fotografica da cui sarebbe scaturito l’ologramma, il noto gioielliere Harry Winston aveva chiesto che il luogo venisse attentamente ispezionato. Aveva fornito lui i gioielli disegnati e commissionati da Dalì. Valore globale: un milione e mezzo di dollari. Non si poteva rischiare. Predisposte le misure di controllo si poteva iniziare. Il giorno della presentazione, un’auto fu inviata al St. Regis Hotel per prelevare Dalì che pretese una limousine bianca e fu accontentato. Doveva abbinarsi alla veste candida e a quei ricami d’oro. Con lui un ampio entourage, tra cui le persone preposte al trasporto del cervello e del bignè di cioccolato che arrivarono appoggiati su cuscini di velluto.

Anche Alice Cooper aveva uomini al seguito e un ampio rifornimento di birra. I giornalisti si avventarono su Dalì chiedendogli di Picasso, scomparso pochi giorni prima (l’8 aprile 1973). «Secondo lei è un genio?», gli chiesero. Rispose: «Sì, ma non di prima classe, come me!». L’artista si aggirava e controllava, nella frenesia degli eventi il cervello si ruppe ma le due parti vennero ricomposte. Dalì gridava: «Bello così, meglio rotto». Cercava e attirava attenzione, anche in eccesso. Al contrario Alice Cooper se ne stava in disparte, pacato, silenzioso e collaborativo. Fu il primo a essere fotografato; appena finito si allontanò. Poi toccò a Dalì che pretese un’unica session. «È il momento che conta, non il risultato», sentenziò e andò via. Giorni dopo, il 21 aprile 1973, l’opera fu presentata alla Knoedler Gallery di New York. Dalì indossava la stessa mise della session fotografica, Cooper aveva giubbetto, pantaloni, guanti di pelle nera e collana di perle. Un suo classico. Beveva birra Michelob. Intorno una selva di microfoni e giornalisti. Vero surrealismo in azione. Da notare che in rete sono riaffiorate molte performance di Dalì. Dalla pubblicità dell’Alka Seltzer con Gala modella su cui disegna gli effetti dell’analgesico-antipiretico (https://www.youtube.com/watch?v=owJFJxHVNuc) alla imitazione di Pollock con schiuma da barba al posto dei colori (http://www.youtube.com/watch?v=zN7JBLhOBF4). Oltre.