«Adesso il centrodestra è compatto e unito», tripudia Raffaele Fitto leader della «Quarta Gamba», quella composta da Nci e Udc accorpati. Prima di lui aveva annunciato la lieta novella il capo azzurro in persona: «Tutte le forze del centrodestra nelle sue componenti storiche hanno firmato il programma che cambierà l’Italia». Detto programma, per la verità, non è che si discosti molto da quelli che il grande piazzista di Arcore aveva sfornato nelle precedenti prove elettorali. La promessa è uguale da 25 anni: meno tasse. Solo ieri Berlusconi ha promesso di eliminare quelle sulla prima casa, sulle donazioni, sulle successioni e sul bollo auto. Senza contare ovviamente la Flat Tax. Nel programma della destra non è quantificata ma a voce l’ex Cavaliere scende nel dettaglio: 23% di aliquota per tutti.

Va da sé che il programma non è mai stato un problema per il centrodestra, anche se Salvini, che deve fare il possibile e anche di più per distinguersi da Berlusconi, aggiunge di suo la proposta di «mandare in galera chi le tasse pur tagliate non le paga lo stesso». La nota dolente erano i seggi ed è la risoluzione di quel nodo che ieri è stata festeggiata. I centristi passano da 13 collegi uninominali a 21, che lieviteranno sino a 27 più altri 4 che «regalerà» Fi. A un passo dai 35 seggi reclamati in origine. Non saranno collegi sicuri: quelli restano 13, ma è probabile che qualcosa i centristi raggranelleranno anche al di fuori del perimetro garantito. A pagare il prezzo, cedendo i propri posti, sarà essenzialmente Fi, ed è normale che sia così. Se si arriverà alla sfida interna alla destra sull’eventuale governo di larghe intese, i parlamentari centristi faranno comodo solo a Berlusconi, che infatti si è prodigato per accontentarli mentre gli altri due soci, Lega e FdI, puntavano i piedi.

Certo però non saranno le truppe di Fitto e di Cesa a ribaltare gli equilibri nel centrodestra ove si dovesse arrivare a un nuovo Nazareno. La chiave di quella partita sarà il tentativo di Arcore di spaccare la Lega, e in quel caso il perno dell’operazione sarà il governatore uscente della Lombardia. Per vibrare una nuova stoccata Bobo Maroni ha colto ieri l’occasione offerta dal più recente acquisto di Salvini, Giulia Bongiorno, già avvocatessa di Giulio Andreotti oltre che parlamentare vicinissima a Fini. In un tweet la principessa del foro aveva giustificato la propria adesione al Carroccio: «Questa Lega nazionale la avrebbe approvata anche Andreotti». Pronta la replica di Maroni: «Io e Bossi quelli come Andreotti li abbiamo sempre combattuti». Controreplica prevedibile di Salvini: «Orgoglioso di averla candidata».

In realtà non è vero che al divo Giulio questa Lega sarebbe piaciuta e non è vero neppure che la Lega di Bossi abbia sempre combattuto poteri come quello andreottiano. Ma la querelle è solo una scusa. Serve a Maroni per smarcarsi sempre di più e prepararsi all’offensiva se il centrodestra non otterrà la maggioranza e spaccare il gruppo del Carroccio diventerà risolutivo per animare la larga intesa su cui punta l’Europa.

In realtà di nodi non ancora sciolti, e anzi ben aggrovigliati, a destra ne restano altri due. Uno è la ripartizione dei seggi del nord, con la Lega che insiste per basarsi sui sondaggi di dicembre invece che su quelli attuali, che registrano un vantaggio azzurro molto più marcato e Fi secondo cui devono invece far fede gli ultimi sondaggi, nei quali sopravanza il Carroccio di quattro punti. Il secondo è il Lazio. Fi è pronta a convergere sul regista di FdI Rampelli. Salvini si mette di mezzo, avanza dubbi, rilancia Pirozzi, in realtà ormai bruciato. Sorella Giorgia s’imbufalisce: «Mi aspetto la stessa lealtà che abbiamo dimostrato noi in Lombardia». Alla fine quasi certamente il candidato sarà Rampelli e non è escluso che l’intemerata del capo leghista miri a un obiettivo preciso: conquistare il sindaco di Amatrice per candidarlo poi alle politiche. Per la Lega, che nel Lazio annaspa, sarebbe un colpaccio. Il bello è che dei tre papabili nel Lazio, Rampelli, Gasparri e Pirozzi, nessuno arriva neppure a sfiorare il 35% circa che i sondaggi attribuiscono al centrodestra. Più ronzini che cavalli di razza.