C’è Sanremo e il presidente della regione Liguria ha il suo da fare, lo vediamo anche in tv. Ma Giovanni Toti che da grande elettore a Montecitorio ha spostato le sue truppe neocentriste di Coraggio Italia da qui o da lì, ma sempre lontano da dove le avrebbe volute Matteo Salvini – tanto da tenerle fuori dall’aula quando il leghista ha tentato la spallata votando la presidente del senato Casellati – ieri è andato a un passo dalla provocazione. Da un paio di giorni il commissario salviniano in regione Edoardo Rixi – che altri non è che il viceministro del Conte 1 che fu costretto alle dimissioni per una condanna in primo grado per le spese pazze regionali, per la quale è statoi poi assolto in appello – lo tiene nel mirino. Accusandolo addirittura di essere «un traditore che pugnala alla schiena il centrodestra». E Toti che fa? A fine mattinata lascia il Consiglio regionale per andare a presentare uno spot per il Festival. La Lega, sua alleata in maggioranza, abbandona per protesta l’aula, il presidente leghista del Consiglio annuncia una lettera di rimostranze. «Non può passare l’80 per cento del suo tempo tra Roma e le tv», carica Rixi. E ci aggiunge il suo Salvini: «Un governatore che fa anche l’assessore al bilancio e l’assessore alla sanità o è Superman oppure…».

Ma nessun consigliere regionale leghista pensa di aprire la crisi. Forte di questa certezza è proprio la lista di Toti che risponde così alle critiche: «Se ci sarà una verifica di maggioranza chiederemo di valutare bene il ruolo del vicepresidente che deve sostituire il presidente e quindi deve essere in grado di esserci». Il vicepresidente naturalmente è della Lega. Se la crisi può escludersi, non è detto che la lite non possa avere conseguenze quando tra pochi mesi si dovranno eleggere i sindaci delle città più importanti. Il centrodestra deve difendere La Spezia e Genova e il sindaco del capoluogo Bucci è proprio quella figura di cerniera tra Lega e il resto della coalizione che può pagare di più.

Il caso ligure è al momento il caso più rumoroso, ma se il centrodestra dopo l’elezione di Mattarella non dovesse riuscire a rattopparsi, le conseguenze si vedrebbero ovunque. Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e centristi di centrodestra governano ormai ben quindici regioni e ovunque le fibrillazioni romane si sono già cominciate ad avvertire. Anche se ovunque sono rimaste a livello di piccola scaramuccia tra fratelli coltelli. In Sardegna il governatore Solinas è legato a doppio filo con Salvini e Fratelli d’Italia è troppo debole per potersi permettere di fare la voce grossa. Ma altrove, come in Piemonte che è la regione del capogruppo leghista alla camera Riccardo Molinari, la battuta di arresto di Salvini nella partita per il Colle sta già avendo l’effetto di indebolire il partito rispetto ai suoi alleati.

Un caso a parte e come sempre pilota è quello della Sicilia, dove il presidente Musumeci ha ricevuto la benedizione e la ricandidatura da parte di Fratelli d’Italia proprio nei giorni in cui era a Roma come grande elettore. Abbandonati i propositi battaglieri – prima di dimettersi, poi di azzerare la giunta per farne una del presidente – Musumeci è anche lui spettatore di quello che avviene al centro. Il suo rivale Micciché è ormai lanciato verso la creazione di un polo indipendente dalla destra, tanto che potrebbe offrirsi in alleanza al Pd. Per il voto regionale c’è tempo fino alla fine dell’anno, ma anche qui i giochi dovranno essere fatti in tempo per le comunali di Palermo e Catania. In primavera