Alla quarta votazione, il Pd alza bandiera bianca. Non vota in favore di Nitto Palma alla presidenza della commissione giustizia di palazzo Madama, ma consegna intonsa la sua scheda. E il berlusconiano – arrivato al ballottaggio con il 5 Stelle Mario Giarrusso – passare senza patemi con 13 voti a favore (compresi quelli di Scelta civica); 4 i voti per il grillino, otto le schede bianche, una nulla.

Del resto, la richiesta dei democratici di trovare un altro candidato di garanzia condiviso – dopo che le prime due votazioni di martedì erano andate a vuoto e il Pdl si era infuriato per il mancato rispetto degli accordi – si scontra contro un muro. «C’è solo Nitto Palma», è il verdetto di Silvio Berlusconi, già parecchio nervoso per l’imminente arrivo della sentenza d’appello del Tribunale di Milano. E il Pd evita di irritarlo ulteriormente, rischiando di rompere la grande coalizione appena nata solo perché il Cavaliere ha il pallino della giustizia. Così rinuncia a opporre un suo nome a quello del magistrato berlusconiano. Vano, invece, il tentativo di trovare un’intesa su un altro pidiellino, cosa che in mattinata era sembrata possibile (si parlava di Giacomo Caliendo). Segue però convocazione dello stato maggiore del Pdl a palazzo Grazioli, e Berlusconi esclude alternative a Palma. E la Lega – che pure aveva annunciato scheda bianca – a quanto pare si adegua (i voti per Nitto Palma sono due in più del previsto). Di sicuro si adegua Scelta Civica.

Dunque Nitto Palma diventa presidente, Maurizio Buccarella del Movimento 5 Stelle e Felice Casson del Pd i suoi vice. E il Partito democratico si becca pure una ramanzina da parte del montiano Andrea Olivero: quello che è accaduto in commissione giustizia «è una brutta pagina non per come si è conclusa, ma perché il Pd ha fatto un accordo e non lo ha rispettato. Ci vuole chiarezza».

Chiusa la partita delle commissioni permanenti, in attesa che si concluda anche quella delle commissioni di garanzia che spettano all’opposizione (il Copasir, dove tra Sel e i 5 Stelle dovrebbe spuntarla un leghista, e la commissione di vigilanza Rai), Berlusconi scruta inquieto l’orizzonte. Come si affretta a dichiarare il suo avvocato Niccolò Ghedini subito dopo la sentenza sui diritti tv, la conferma della condanna non ha nulla a che vedere con la tenuta del governo. Nonostante le minacce dei falchi, e nonostante l’innegabile mazzata, il Cavaliere, seppure furioso per una sentenza che pure si aspettava, intende continuare a indossare i panni dello statista aspirante padre della patria, capace di portare a termine le riforme istituzionali lungamente promesse, malgrado la persecuzione delle toghe rosse, sempre in agguato. Per non mettere ulteriormente in imbarazzo l’alleato già malmesso (il Pd), Berlusconi si ritira anche dalla corsa per la presidenza della Convenzione. Aveva detto di volerla guidare solo per scherzo, sostiene. Anzi, aggiunge, la Convenzione non va proprio messa in piedi: le riforme si possono fare in parlamento con l’articolo 138 della Costituzione.

La parola d’ordine consegnata per ora dall’ex premier ai suoi riuniti a pranzo a palazzo Grazioli è «sostegno leale a Letta». In attesa, oltre che di novità sul fronte giudiziario, di vedere come si comporterà sui provvedimenti economici: Imu, Iva, esenzioni fiscali per chi assume, riforma di Equitalia. Riforme e i provvedimenti economici sono i punti sui quali Giorgio Napolitano, intervenuto ieri all’elezione del nuovo primo presidente di Cassazione, chiede al governo di concentrarsi.