Più che politica, teatro: un po’ Ionesco, un po’ Artaud. Una campagna elettorale surreale, schizofrenica, tanto elettrizzante all’inizio quanto sonnacchiosa alla fine. Ciò che si ricorderà è il casting per la scelta dei candidati.

E’ stato il trait d’union dei due schieramenti. Il centrosinistra esprimeva il presidente uscente, Mario Oliverio, formazione Pci-Pds-Ds-Pd. Alle scorse elezioni aveva sbaraccato tutti. Ma durante la consiliatura aveva perso smalto ben presto. Sanità infettata dalla malagestione, ciclo di raccolta dei rifiuti in tilt, precarietà galoppante, disoccupazione alle stelle. E, soprattutto, i suoi tanti guai con la giustizia.

Su disposizione della procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, aveva subito persino l’onta dell’obbligo di dimora (poi annullato) nella natia San Giovanni in Fiore. Per questi motivi il nuovo segretario dem Nicola Zingaretti aveva deciso di voltar pagina.

Il problema per il Nazareno era che Oliverio aveva in mano il partito. Per cui non è stato facile dargli il benservito. Da allora, è andata in scena una corsa parallela. Da una parte Oliverio che raggruppava le sue truppe e i suoi circoli. Dall’altra il partito nazionale che avviava le nomination per il dopo Oliverio senza truppe e senza circoli. Uno dopo l’altro sono stati prima lanciati e poi affossati, Florindo Rubbettino, patron dell’omonima casa editrice, e Maurizio Talarico, mister cravatta di lusso. Infine, la quadra pareva trovata con Pippo Callipo, il re del tonno in scatola, un trapassato con Di Pietro, un passato con la destra berlusconiana, un processo in corso per omicidio colposo in un caso di morte bianca e da poco attratto dalle sirene grilline. Nella strategia poco strategica dei vertici dem si pensava che la proposta Callipo sarebbe stata attrattiva per i 5 stelle.

Dopotutto, l’imprenditore ittico era stato sponsor dell’europarlamentare grillina Laura Ferrara e una sua dipendente in azienda era stata persino eletta deputata nelle file pentastellate. Ma, alla fine, l’ala neutralista dentro i 5 stelle ha prevalso. Hanno lanciato una figura discussa come l’economista Francesco Aiello e Callipo è rimasto solo e con un Pd monco. Buon per i dem che, alla fine, tra minacce d’espulsioni e commissariamenti di federazioni, Oliverio ha rinunciato alla corsa in solitaria. E per Callipo si è aperto uno spiraglio. Il problema per lui è che il vento in terra di Calabria soffia tremendamente a destra.

Una volta risolto anche da quelle parti il rebus candidati (un derby dentro Forza Italia tra il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto e la sua vicesindaca, berlusconiana doc, Jole Santelli che ha poi prevalso) la corsa per la destra è stata in discesa. I baroni delle preferenze, che avevano sostenuto Oliverio 5 anni fa, hanno fatto il gran salto e in una perenne transumanza sono passati nell’altro campo.

Una mezza dozzina di liste e pacchetti di voti a iosa. E con un nuovo giocatore in campo. Matteo Salvini, in un’inedita cavalcata per le terre calabresi. Piazze piene, sale stracolme. La Lega qui avanza inarrestabile. Ha cooptato leader di agricoltori, editori televisivi, rischia di essere il primo partito. Malgrado abbia ceduto lo scettro della nomination a Forza Italia, il player è sempre lui: Salvini con suoi rosari in mostra, le effigi dei santi in mano e le foto con Gratteri. In una regione, dove la sinistra è scomparsa persino dalle schede elettorali, vale la sua premonizione di 4 mesi orsono: «Qui vinciamo con qualsiasi candidato».