Il «reddito di inclusione sociale», approvato ieri dalla Camera nell’ambito della legge delega contro la povertà e il riordino dei servizi sociali nella Puglia di Michele Emiliano si chiama «ReD-reddito di dignità». Questo nome è il risultato di uno «scippo» fatto dall’astuto governatore del Pd alla campagna omonima sul «reddito di dignità» promossa da Libera di Don Ciotti, insieme allo «European Antipoverty Network» (Eapn) e al Basic Income Network-Bin Italia. In uno spazio mediatico altamente tossico, e pieno di strumentalizzazioni linguistiche e politiche, è necessario distinguere i due provvedimenti.

Il «ReD» di Emiliano non è il «reddito di dignità», è un sostegno di inclusione attiva al reddito delle famiglie in povertà assoluta, deriva da un’idea lavorista e coattiva delle tutele, obbliga all’accettazione di un lavoro «purchessia». Quando Emiliano lo presentò il 10 novembre 2015 sostenne di volere avviare «le famiglie in difficoltà» al lavoro attraverso la formazione. «Se necessario anche andando a pulire giardini, i banani di una scuola, o a gestire lavori umili – ha aggiunto – In cambio della solidarietà da parte della comunità che gli darà una mano». Parole non molto diverse le ha dette sia il premier Renzi che il suo ministro del lavoro Poletti. In questo quadro si inserisce il «baratto amministrativo» previsto dall’articolo 24 del decreto «Sblocca Italia» e usato da numerose amministrazioni comunali per recuperare l’importo di tasse come la Tasi o gli affitti comunali altrimenti inesigibili da parte di cittadini poveri o disoccupati. Chi accetta, anche per evitare pignoramenti e sequestri, può essere messo al lavoro nella pulizia, manutenzione o «abbellimento di aree verdi e piazze».

Il costo: 70 milioni di euro per una platea di 60 mila persone, una parte dei 320 mila individui in povertà assoluta (l’8% della popolazione). L’importo mensile del prevede un sussidio di 600 euro per una famiglia fino a cinque componenti e varia in base alla scala di equivalenza dell’Isee. La durata massima è di un anno ed è condizionata contemplata la possibilità di riprendere il programma di assistenza successivamente. I sessanta milioni arriveranno dal fondo sociale europeo compreso nel Por 2014-2020 e dal fondo da 1 miliardo che il governo Renzi intende far approvare nella legge di stabilità 2016. Da parte sua la Puglia intende stanziare 5 milioni di euro (il 10%) del costo totale previsto per la prima annualità. La copertura sarà ricavata da un aumento della tassa regionale automobilistica, il bollo.

I rappresentati pugliesi dell’associazione Act! (Agire, Costruire, Trasformare) hanno sviluppato in questi mesi una critica del provvedimento pugliese che può valere anche per il Ddl povertà che il parlamento si appresta a varare. Il reddito di dignità della campagna lanciata da Don Ciotti – a cui Act! ha partecipato – è una misura universale, individuale e non condizionata. Si tratta di un «reddito di base» che ha diversi tratti da «reddito minimo garantito». Nel «ReD» di Emiliano, invece, «disoccupazione e povertà, ossia i fattori che questa misura dovrebbe arginare, vengono addebitati alla responsabilità degli stessi indigenti e nello specifico ai loro percorsi lavorativi e/o formativi poco “spendibili” sul mercato e da correggere con tirocini socio-lavorativi obbligatori per l’ottenimento del contributo». Per l’associazione il «ReD» non copre chi versa in povertà relativa e nemmeno tutti i poveri assoluti cui in teoria è rivolta. In più sottopone il soggetto a penalità per la mancata partecipazione al programma e a compiere mansioni qualsiasi per avere in cambio un contributo molto basso.