Persona su cui il boss Michele Zagaria, detto «capa storta», faceva affidamento e molto amico dei casalesi. Nella cerchia di un giro malavitoso che gli si è stretto attorno: Raffaele Cilindro, 51 anni, impegnato, con la propria azienda, negli appalti per la ricostruzione post terremoto a L’Aquila, è finito in manette con l’accusa di associazione camorristica, in un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. L’uomo, originario di San Cipriano d’Aversa (Caserta), è stato stato arrestato dai Ros a Casapesenna. Oltre alle manette, gli sono stati anche sequestrati beni per un milione e mezzo di euro.

Il legame di Cilindro con il capoluogo abruzzese passa per Alfonso Di Tella, imprenditore originario di Caserta ma che da trent’anni vive in Abruzzo e che è stato rinchiuso in carcere lo scorso giugno, insieme ai figli e ad altri costruttori dell’Aquila, nell’ambito dell’inchiesta denominata Dirty job sulle infiltrazioni della camorra, e in particolare dei casalesi, nella ricostruzione privata e nella spartizione della torta dei subappalti. Il gip dell’Aquila, Marco Billi, scrisse che ad accomunare i due è «una lunga amicizia», che salta fuori anche nell’ordinanza del giudice delle indagini preliminari di Napoli, Egle Pilla, che ha accolto le richieste dei pm antimafia Catello Maresca e Maurizio Giordano e del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Pilla parla di «stretta relazione». Cilindro, secondo gli inquirenti, avrebbe partecipato alle attività della fazione Zagaria, finanziandola con somme di denaro periodiche, mantenendo i contatti con gli affiliati e, soprattutto, ospitando il capo durante la latitanza.
La relazione con Zagaria agevolava Cilindro nella propria attività. Bastava presentarsi e, negli affari, le porte gli si spalancavano, grazie al potere intimidatorio del clan. Commesse pubbliche e non solo, per le quali versava «spontaneamente» il 5% dell’importo nelle casse della camorra. Accordo che, col tempo, gli ha fruttato fior di appalti e di quattrini: così è arrivato anche a L’Aquila. Dove, appunto, era forte il rapporto con Di Tella, conosciuto prima del sisma ma frequentato intensamente dopo. Negli atti figura una conversazione in cui Cilindro, chiamato al telefono, invita Di Tella, che sta partendo dall’Aquila, al compleanno della madre. Tra i due, stando a quanto accertato, c’era un patto. Di Tella doveva consentire di lavorare alle ditte di Casapesenna e «un pensiero era sempre rivolto a Cilindro», fa presente il gip Billi. In un’intercettazione, Di Tella dice al figlio Domenico: «Vediamo un poco di far lavorare a quello… o sennò un poco a Cilindro… gli facciamo fare un subappalto». «Nei mesi di gennaio e giugno del 2013 Di Tella Alfonso – afferma ancora il gip – dava disposizione ai propri figli di girare le somme di denaro direttamente a Cilindro effettuando prelievi o dalla cassaforte di famiglia o direttamente dai conti correnti facenti capo alla società di famiglia. Dalle conversazioni degli indagati era subito chiaro che le somme di denaro consegnate a Cilindro derivavano dalle estorsioni delle indennità della Cassa edile percepite dagli operai gestiti dai Di Tella».