Il carburante oscuro dell’Universo
Astronomia L'espansione del cosmo è molto più veloce di quel che si pensava fino ad oggi. Il nuovo valore della costante di Hubble prevede nel tempo un allontanamento di pianeti e galassie: attraverso l’osservazione di otto Cefeidi, «astri faro», si è misurata una accelerazione maggiore
Astronomia L'espansione del cosmo è molto più veloce di quel che si pensava fino ad oggi. Il nuovo valore della costante di Hubble prevede nel tempo un allontanamento di pianeti e galassie: attraverso l’osservazione di otto Cefeidi, «astri faro», si è misurata una accelerazione maggiore
Da quando nel 1929 l’astronomo Edwin Hubble scoprì il redshift, lo spostamento verso il rosso della radiazione emessa dalle galassie, si è a conoscenza che l’Universo si sta espandendo. Gli astrofisici hanno cercato di quantificare la misura di questa dilatazione tentando di rispondere a due domande: l’Universo si espande con la stessa velocità o, invece, sta rallentando? Nel 1998 gli studi di Adam Riess, Brian Schmidt e Paul Perlmutter replicarono alle questioni con una terza, del tutto inaspettata, risposta: l’Universo continuava ad espandersi, ma con una accelerazione in costante aumento. La scoperta valse ai tre scienziati il premio Nobel per la fisica nel 2011.
PER INTERPRETARE coerentemente la nuova teoria si introdusse, oltre alla materia ordinaria e alla materia oscura, una terza componente, una sorta di carburante che consentirebbe all’Universo di espandersi: la cosiddetta energia oscura. Questa nuova grandezza rappresenterebbe circa il 68,3% della materia che compone l’Universo (secondo la teoria della relatività di Einstein, energia e materia sono strettamente correlate e la massa non è altro che una forma di energia). Il restante 31,7% sarebbe composto dalla materia oscura (26,8%) e da quella barionica (4,9%), la materia che noi «vediamo» e con cui i nostri sensi interagiscono ogni giorno.
Nessuno ha una risposta su cosa sia energia e materia oscura. Sebbene illustri ricercatori come David L. Wiltshire dell’università neozelandese di Canterbury o Alexander Kashlinsky del centro di voli spaziali Goddard della Nasa, abbiano ancora perplessità in merito all’espansione, la gran parte del mondo scientifico avvalora la tesi secondo cui la dilatazione dell’Universo sia causata da un’energia la cui origine rimane sconosciuta e della cui entità è responsabile quella che viene chiamata costante di Hubble. Il valore della costante stabilisce la velocità di recessione delle galassie nel cosmo, ma il suo numero non è mai stato determinato con precisione. Sino a pochi giorni fa si assumeva che questo fosse 67,15 chilometri al secondo per ogni Megaparsec di distanza (km/s/Mps).
PER CAPIRE QUESTA UNITÀ di misura astronomica occorre spiegare che il Megaparsec corrisponde a 3,26 x 106 anni luce (3.260.000 anni luce) e, dunque, una galassia che dista dalla Terra 1 Megaparsec di allontana da noi alla velocità di 65 chilometri al secondo. L’unità di misura della costante di Hubble (km/s/Mps) implica che la velocità di allontanamento di un oggetto aumenta con l’aumentare della distanza dall’osservatore: una galassia distante 10 Megaparsec si allontanerà ad una velocità 10 volte maggiore rispetto a quella che si trova a 1 Megaparsec da noi ed una distante 100 Megaparsec si sposterà ad una velocità 100 volte maggiore.
Recentemente lo stesso Adam Riess che nel 1998 aveva condotto la ricerca sull’accelerazione dell’espansione del cosmo, ha annunciato i risultati di un nuovo studio durato quattro anni effettuato con il telescopio di Hubble della Nasa e l’osservatorio spaziale Gaia dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. Per tutta la durata delle osservazioni e a distanza di sei mesi l’una dall’altra, Riess e la sua equipe dello Space Telescope Science Institute (STScI) e della Johns Hopkins University, di cui fa parte anche l’italiano Stefano Casertano, hanno misurato Variabili Cefeidi, stelle pulsanti la cui luminosità massima e minima varia in un tempo costante secondo periodi stabiliti. Grazie al telescopio di Hubble, Riess è riuscito a osservare Cefeidi nella Via Lattea distanti tra i 6.000 e i 12.000 anni luce dalla Terra, una distanza dieci volte superiore a quella misurata sino ad oggi. Una scommessa azzardata, visto che le oscillazioni luminose di Cefeidi così lontane equivalgono ad appena 1/100 di differenza di luminosità di un pixel di una macchina fotografica.
PER VINCERE QUESTA SFIDA la squadra di ricercatori ha sviluppato un metodo di scannerizzazione che «fotografava» la posizione della stella migliaia di volte al minuto ogni sei mesi, per i successivi quattro anni paragonandone la luce emessa con otto Cefeidi più vicine a noi. Osservando le stelle «faro» in diversi periodi dell’anno e da diversi punti dell’orbita terrestre, l’equipe è riuscita a tracciare una precisa misura della parallasse stellare che lascia adito a ben pochi dubbi: la costante di Hubble, risulta essere 73.45 ± 1.66 km/s/Mpc, un valore circa il 9% maggiore a quella misurata nel 2015 con il satellite Planck, dell’Agenzia Spaziale Europea. La differenza, è macroscopica in termini scientifici perché pone le basi per una revisione della fisica del nostro Universo.
LA PRIMA CONSTATAZIONE che è possibile dedurre è che la forza che lancerebbe le galassie lontano le une dalle altre espandendo così l’Universo, non sarebbe costante, ma assumerebbe valori diversi nel tempo. Questo ha portato i fisici e gli astronomi a congetturare nuove ipotesi sulla composizione del cosmo e sul suo destino futuro e finale.
Il nuovo valore della costante di Hubble segna un punto a favore della tesi del Big Rip (Grande Strappo) secondo cui l’accelerazione con cui il nostro Universo si dilata porterebbe, con il tempo, ad allontanare le galassie, le stelle e i pianeti gli uni dagli altri sino a rendere il nostro spazio completamente scuro e freddo. In un Universo del genere, in cui sarebbe impossibile osservare anche il minimo residuo di spostamento verso il rosso (redshift) derivato dal Big Bang, l’energia oscura sarebbe così elevata da prevalere su ogni altra forza riuscendo alla fine a strappare (Rip) la materia ordinaria nelle sue particelle elementari (fermioni, leptoni, bosoni).
NEL CAMPO DELLA RICERCA più strettamente legata al nostro mondo, la scoperta del team di Riess aprirebbe nuove idee su come possa essere definite la materia e l’energia oscura. Una possibile ipotesi è che, così come la materia ordinaria interagisce con la radiazione elettromagnetica, la materia oscura potrebbe essere soggetta a interazioni con particelle a noi invisibili come la radiazione oscura. Questa, a differenza delle parallele radiazioni elettromagnetiche ordinarie, interagirebbe solo con la gravità mediante nuovi tipi di particelle battezzate neutrini sterili per distinguerle dai neutrini attivi conosciuti nel Modello Standard, i quali, invece, interagiscono con le forze deboli.
Si potrebbe anche ipotizzare che la materia oscura, che ad oggi si pensa non abbia alcuna interazione con quella ordinaria, possa invece influenzare le particelle elementari del Modello Standard per creare un tessuto connettivo strettamente correlato che garantirebbe la vita dell’Universo.
Tutte queste ipotesi hanno già aperto le porte a nuove strade di ricerca scientifica che potrebbe portare a nuove e più profonde deduzioni nei modelli sino ad oggi approntati sino a rivedere scenari passati e futuri della vita del nostro Universo.
SCHEDA
Quando il gesuita e astronomo belga Georges Lemaitre espose, durante il Convegno di Solvay del 1927 a Bruxelles, la sua idea dell’atomo primigenio ad Albert Einstein, questi la considerò un’idea abominevole. In seguito lo stesso fisico tedesco si ravvide dell’errore quando Hubble dimostrò che le galassie si allontanano causando il famoso redshift, o spostamento verso il rosso. Oggi sappiamo che il nostro Universo, dal Big Bang è invecchiato di 13,8 miliardi di anni. Pochi istanti dopo il Big Bang si vennero a formare le particelle elementari, gluoni e quark e le quattro forze che comandano l’attuale Universo (interazione forte, debole, gravitazione e elettromagnetica) si separano. I primi atomi di idrogeno e elio cominciarono ad apparire dopo 380.000 anni, ma si dovette attendere un altro miliardo di anni perché questi atomi si unissero per formare le prime galassie e le prime stelle. Quando queste esaurirono il loro combustibile nucleare, vennero a prodursi gli elementi pesanti che permisero la formazione di pianeti. Ma come evolverà il nostro Universo? Le decine di ipotesi proposte dai ricercatori si possono grosso modo suddividere in tre soluzioni, anche se altre possibilità non si possono escludere a priori. Il Big Crunch prevede che, quando la forza di espansione dovuta al Big Bang si esaurirà, il cosmo subirà una contrazione che lo vedrebbe collassare in una singolarità a cui potrebbe seguire un nuovo Big Bang.
Il Big Freeze e il Big Rip contemplano un Universo in continua espansione sino a raffreddarsi a tal punto che, per il primo modello, tutta la materia verrebbe assorbita in buchi neri per evaporare nella radiazione di Hawking, mentre per il secondo l’energia oscura dilanierebbe tutta la materia sino a riportarla allo stato di particelle elementari. Vi sono anche teorie che prevedono spin-off dei precedenti modelli per presentare singoli Multiversi generati dai buchi bianchi di Hawking o frattali collegati tra loro da stringhe o brani in cui ogni Multiverso sarebbe governato da leggi fisiche differenti.
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