«Un aumento di capitale a gennaio ucciderebbe la Fondazione». Cioè Siena. E il fatto che Antonella Mansi lo ribadisca con una intervista al Sole 24 Ore, dopo la già esplicativa relazione di Palazzo Sansedoni dello scorso fine settimana, fa capire la portata dello scontro. Da una parte il primo azionista (33,4%) del Monte dei Paschi, dall’altra i vertici della banca. Il tandem Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, che da un anno e mezzo è alla guida del terzo gruppo creditizio italiano. E che in un contesto certo complicatissimo, date le ben note vicissitudini del gruppo Mps a partire dall’acquisto di Antonveneta, ha però imboccato una strada che nei fatti cancellerà ogni pur minimo, residuale controllo pubblico. Su una banca che per più di 500 anni è stata in gran parte di proprietà dell’intera città di Siena.

Non c’è solo la Fondazione Mps a contestare la scelta di Rocca Salimbeni di fare una ricapitalizzazione da tre miliardi entro due mesi. Tempi brevissimi, più stretti perfino delle richieste Ue (un anno), nelle pieghe del via libera ai Monti Bond. Anche i piccoli azionisti del Monte, in grande maggioranza dipendenti vecchi e nuovi della banca, che hanno investito nel titolo Mps anche accettando di convertire il loro tfr e parti di stipendio, bocciano l’operazione di precorrere l’aumento di capitale. Sul quale si affacciano, sotto le insegne del cosiddetto «consorzio di garanzia», che ha già firmato un impegno a presottoscrivere la ricapitalizzazione, i padroni della finanza mondiale. I nomi sono quelli di Ubs, Commerzbank, Citigroup, Société Générale, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Barclays e Jp Morgan. Con loro anche Mediobanca, e l’ultima arrivata Santander. Cioè la principale beneficiaria dell’operazione Antonveneta, visti i circa tre miliardi cash guadagnati in pochi mesi nella compravendita del 2007 dell’istituto di credito. Così, di fronte alla domanda fatta da Laura Vigni di Sinistra per Siena al sindaco Valentini («Non pensa che possa essere meglio la nazionalizzazione, invece che una operazione di finanza speculativa internazionale?»), la risposta del «parco buoi» appare in sintonia con le critiche della consigliera di opposizione. Una Vigni che da molto tempo ritiene che una parziale e temporanea nazionalizzazione permetterebbe alla banca di superare meglio il suo difficile momento. La strada scelta dalla Fondazione resta invece quella di un «equilibrato e graduale processo di dismissione» della sua quota. Vendere, ma non a gennaio. Almeno a maggio. Nella relazione si avvisavano i naviganti che l’interesse a trovare in tempi un po’ più lunghi un compratore per il suo 33,4% «coincide senz’altro con l’interesse dell’intero sistema finanziario nazionale e con l’interesse del paese», visti i 26 miliardi di titoli governativi detenuti dalla banca. E di fronte alla ribadita convinzione di Profumo&Viola di non perdere nemmeno un minuto, anche ieri la Fondazione Mps si è fatta sentire. Con una comunicazione alla Consob: «Abbiamo proposto un componimento volto a evitare un voto contrario a salvaguardia della nostra integrità patrimoniale e, contemporaneamente, volto a consentire la buona riuscita dell’aumento di capitale». Una dilazione dell’operazione «a non prima del 12 maggio». Con una postilla eloquente: «Così la banca avrà il tempo necessario per il pagamento della cedola per interessi dei Nuovi Strumenti Finanziari in scadenza il 1 luglio 2014, con le risorse ottenute dall’aumento di capitale». Insomma non continuiamo con la scusa che i pur carissimi Monti Bond devono essere rimborsati subito. Oggi c’è il cda del Monte, una risposta arriverà in ogni caso.