Europa

Il caos libico e l’assenza dell’Onu limitano la missione europea

Migranti Possibile operare solo in acque internazionali. In azione quattro navi e cinque aerei sotto il comando italiano

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 2 agosto 2015

Una missione europea a raggio d’azione limitato. La crisi libica e l’impossibilità di arrivare a un governo di unità nazionale che possa finalmente avviare un processo di pacificazione nel Paese nordafricano riduce notevolmente anche l’attività di Eunavfor Med, la missione a guida italiana che l’Unione europea ha lanciato il 22 giugno scorso con l’obiettivo di contrastare i trafficanti di migranti.

Nei progetti di Bruxelles, e per come è stato progettata dal consiglio europeo, la missione si dovrebbe articolare in tre fasi: raccolta di informazioni utili a un monitoraggio delle reti utilizzate dagli scafisti e pattugliamento in alto mare con la possibilità di fermare e sequestrare i barconi intercettati in acque in internazionali, naturalmente dopo aver messo in salvo i migranti.

La seconda e terza fase riguardano invece la possibilità di fermare, sequestrare e distruggere carrette del mare, gommoni e pilotine utilizzate dai trafficanti in acque libiche. Azioni che, nelle intenzioni dell’Ue, dovrebbero avvenire anche nei porti libici usati di trafficanti come base di partenza dei loro traffici.

Il problema è che per attuare la seconda e la terza fase Bruxelles non può agire da sola ma deve necessariamente attendere una richiesta di intervento da parte delle autorità libiche e comunque a seguito di una risoluzione dell’Onu. E qui si ferma tutto.

Sia perché, nonostante gli sforzi compiuti fino a oggi da Bernardino Leon, il mediatore dell’Onu che da mesi si spende alla ricerca di un compromesso tra le varie fazioni in lotta, ogni possibile via d’uscita dal caos libico appare ancora lontana, sia perché il Consiglio di sicurezza dell’Onu è da mesi diviso sulla possibilità di autorizzare un intervento in acque (e sul suolo) libico, soprattutto per la diffidenza mostrata dalla Russia verso una nuova operazione in Libia dopo l’intervento militare del 2011.

Per quanto limitata nel suo raggio di azione, la missione europea comunque procede. Tre giorni fa il parlamento italiano ha dato il via libera definitivo alla partecipazione del nostro paese a Eunavfor fino al 30 settembre prossimo. Per questi primi tre mesi è stato stanziato un finanziamento di 26 milioni di euro e l’impiego di 1.020 militari. Il quartier generale della missione si trova a Roma sotto il comando dell’ammiraglio Enrico Credendino, che può contare su quattro unità navali – la nave ammiraglia Cavour, due navi tedesche e una inglese – e cinque mezzi aerei, un aereo francese, uno lussemburghese, due elicotteri italiani e uno inglese.

Nel frattempo dopo l’operazione Mare nostrum, grazie alla quale nel 2014 sono stati salvati 170 mila migranti, la Marina militare italiana non è stata con le mani in mano e oltre a proseguire le operazioni di salvataggio nel canale di Sicilia, procede alla distruzione di barconi utilizzati dagli scafisti. Dallo scorso mese di aprile a 7 luglio, attraverso al nuova missione Mare sicuro, sono stati tratti in salvo 23 mila migranti, arrestati 72 scafisti e affondati 250 barconi.

Si tratta, ha spiegato tre settimane fa in commissione Affari costituzionali del Senato l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, di imbarcazioni che «sono già in stato di marcescenza e non si deve fare granché per affondarle. Sono barche a perdita e quando sono i condizioni fatiscenti, sicome possono costituire un pericolo letale, i trattati consentono di affondarle anziché lasciarle andare come iceberg alla deriva».

Privare le organizzazioni criminali dei barconi rappresenta un duro colpo per i trafficanti. Non a caso nei mesi scorsi scafisti a bordo di imbarcazioni veloci e armati di mitra hanno sfidato le motovedette della nostra Guardia costiera per riprendersi le carrette e se non si sono verificati scontri a fuoco si deve solo al fatto che i marinai italiani hanno preferito proteggere i migranti anziché ingaggiare un combattimento.

«Non è detto che la Libia abbia una capacità di costruire barconi – ha spiegato sempre al Senato l’ammiraglio De Giorgi – e questo di vede dalla rabbia e dalla determinazione con cui cercano di recuperare quelli usati: significa che quando affondano per loro è una grave perdita».

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