C’è qualcosa di simbolico nel fatto che la prima messa in scena italiana di I Was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky di John Adams, composta subito dopo il terremoto di Northridge, California, del 1994, abbia debuttato sul palcoscenico del Teatro dell’Opera l’11 settembre. Non soltanto perché l’autore è il più noto musicista contemporaneo americano, né perché nel 2002 gli sia stata affidata dalla New York Philarmonic la composizione di un nuovo lavoro che «commemorasse» la strage del 2001, quanto per la distanza che lo separò da subito dalla reazione isterica e paranoica di Bush e delle gerarchie militari, con tutte le derive «securitarie» che ben conosciamo. La vicenda non è lineare, il lodatissimo libretto di June Jordan, famosa poetessa e attivista di diritti civili scomparsa nel 2002, è contorto, antimusicale, disturbante. E tuttavia acutissimo nel disegnare la fragilità morale e/o la deriva etica dei personaggi: colpisce come una frusta, oggi più di ieri, l’invettiva di Tiffany, incolpata di aver creato un caso giudiziario soltanto per uno scoop giornalistico, contro l’avvocato difensore per le sue origini vietnamite e perché tradisce gli ideali dell’America, paese che gli ha dato asilo e lavoro pur essendo lui nato dal boat people, i vietnamiti che fuggivano sui barconi dalle proprie terre devastate proprio dalla nazione presso cui andavano a cercare rifugio.                                                                                      

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Nella bella descrizione di quest’opera che appare nel libretto, tratto dall’autobiografia Hallelujah Junction, del 2008, il compositore lascia trasparire l’insoddisfazione per come si sia sentito stretto, per tutto il tempo dell’ideazione, tra le due marmoree presenze della Jordan e del regista Peter Sellars (ma di fatto coautore di quasi tutte le sue opere) producendo alla fine uno spettacolo della cui longevità dubitava fortemente. Eppure, anche se non come Nixon in China e La morte di Klinghoffer, ormai entrate nei repertori internazionali, Celing/Sky, nonostante il suo carattere ibrido e inafferrabile, conserva ed aumenta nel tempo il suo fascino.

Un recensore malevolo, all’epoca della prima, accusò Adams di aver voluto creare un’opera dal facile gusto musicale pur di essere riconosciuto finalmente Grande Autore Americano, cosa che le precedenti, controverse e complesse, non potevano garantirgli. Ma il musicista, che confessa di essersi ispirato ai musical di Broadway e ad opere-mito come West Side Story di Leonard Bernstein, in realtà non aveva nessuna intenzione di creare motivi popolari. Le arie di Ceiling/Sky, che riportano nella maliziosa sinossi il proprio pedigree («Rock alla Supertramp», «Hard Rock Blues alla Joe Cocker», «Ballata lirica alla Whitney Houston» ecc.), mancano proprio di quell’hook che connota ogni canzone di successo e sono invece contraddistinte da una tonalità apparentemente oscillante e da una mutevole pulsazione ritmica che rifugge dalla fissità ipnotica dei brani rock e metal.

La trama – elementare nonostante la portata dei problemi messi in campo: violenza sessuale, razzismo ecc. – si svela progressivamente, prima attraverso le «arie di sortita» di ciascun personaggio, poi attraverso duetti e terzetti che mettono in luce desideri e relazioni, per terminare nella sublime «passacaglia» finale con tutti gli interpreti in scena. Ma intanto, con gli edifici e le strade, è crollata anche la falsa coscienza dei protagonisti, i quali si vedono ora molto più chiaramente e cercano di riprendere in mano con nuova consapevolezza quel che resta della loro vita in una città devastata ma pronta a ricominciare da capo.

Tutti gli interpreti si muovevano in questo complesso gioco a incastro con grande disinvoltura, bisognerebbe nominarli tutti e tutti elogiarli, compreso il soprano impegnato a sussurrare le arie di Consuelo a causa di un’improvvisa afonia che, pur privandoci delle melodie forse più accorate e sensuali dell’opera, ha comunque consentito di apprezzare le arcane sonorità con cui Adams ha scelto di accompagnare le arie, scelta che spiega la palpabile sensazione di spaesamento che emana l’intera partitura. La direzione è affidata ad Alexandr Briger, alla testa di un organico di otto giovani musicisti provenienti dall’orchestra sinfonica del teatro, fattisi sempre più audaci e liberi nell’esecuzione man mano che lo spettacolo andava avanti.

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Questa rappresentazione di Ceiling/Sky, spettacolo proveniente dal Théâtre du Châtelet a Parigi, che sta mettendo in scena tutte le opere di Adams, ha visto come deus-ex-machina Giorgio Barberio Corsetti, la cui interpretazione scenica creava, attraverso proiezioni, luci, elementi architettonici, un paesaggio urbano e interiore in continua trasformazione dentro il quale gli spostamenti incessanti dei personaggi davano corpo alla mutevolezza delle loro psicologie. L’uso dei colori e della grafica, le spiritose visioni di «sogni e chimere» individuali e collettive, l’attenzione al significato di ogni gesto e a quel che il testo suggeriva o sottintendeva ne hanno fatto una delle più sensibili e sagaci letture registiche viste a teatro negli ultimi anni, che rende plausibile l’ineffabile quanto imperscrutabile affermazione dell’autore «Ho comunque concepito questo lavoro entro le tradizioni sceniche elisabettiane e/o brechtiane»