Fu negli Stati Uniti, dove studiavo per conseguire un Master’s, consegnando, fra altro duro lavoro e un impegnativo esame finale, un paper su At Swim-Two-Birds (1939) di Flann O’Brian, che lessi per la prima volta di Sweeney, un personaggio storico, più volte reinventato, dell’Irlanda celtica. Il compito fu pure facile: il romanzo era brioso (mi ricordava Il barone rampante), benché della malinconia – uno spleen struggente, estremo – dell’originale, At Swim-Two-Birds non avesse nulla. Tornata a casa e all’università, nessuno sapeva chi fosse Sweeney, e chi fosse Flann O’Brian. Ma fu così che O’Brian inaugurò il mio curriculum. Nel prosieguo degli anni, avrei rincontrato Sweeney nella poesia dell’impeccabile T. S. Eliot, e – curiosamente – in raffigurazioni non proprio edificanti, ma negli Stati Uniti Sweeney è un cognome frequente di origine scotto-irlandese. A Sweeney e alle sua mascherature mi andavo ormai abituando.
Adesso me lo ritrovo qui, Sweeney (l’originale), sulla scrivania, nella sua versione filologica sino ad ora standard, con testo a fronte, tradotta in inglese, e un po’ sfoltita, da Seamus Heaney. È Sweeney smarrito (Astray) a cura di Marco Sonzogni (Archinto «Le mongolfiere», pp. 252, e 16,00). Che sia l’originale Buile Swibhne, poema composto fra il 1200 e il 1500, «una delle massime opere del canone letterario medievale», sostiene Heaney, lo dice una Prima postilla (anonima, come una Seconda postilla in explicit) in italiano, che mi pare comunque opportuno recuperare: «La storia di Sweeney inizia a circolare tra l’VIII e il IX secolo in testi di vario tipo, principalmente in versi, tra cui annotazioni dell’amanuense a margine di altri scritti. Come, per esempio, Prima postilla, ripresa dal copista in una abbazia pavese, Albino Zanocco: Impugna la penna come una vanga, / Continua il primo solco lasciato / dal margine giustificato / dentro la pagina».
Questo paratesto (di chiunque sia la «mano», vera o falsa) ci dice molto su Heaney, e meno su Sweeney. Si ricordi Scavando patate in Morte di un naturalista (Death of a Naturalist, 1966), il volume che segna i suoi primi passi di poeta, un amanuense («scriba») che umilmente scava con la «penna», come sta facendo realmente suo padre, giù in cortile, il quale con la «vanga» scava patate.
A quanto pare, l’idea di Sweeney, eroe dell’Ulster, frullava nella testa di Heaney già da molti anni, prima che egli ne pubblicasse la traduzione dal gaelico nel 1983. Un’impresa iniziata nel ’72, dopo il suo trasferimento dall’Irlanda del Nord a quella del Sud, nei pressi di Dublino, da «esiliato» (astray) al pari di Sweeney e di Dante, al quale in quegli stessi anni Heaney si dedicherà con maggiore disciplina.
Di Sweeney si sa – riassume Heaney nella sua Introduzione – che sia «il risultato di una rielaborazione di tradizioni che risalgono ai tempi della Battaglia di Moira (637 AD), scontro in cui Sweeney impazzì e fu trasformato, a compimento della maledizione di Ronan il Santo, in un uccello», proprio come, in altre circostanze, il meno storico ma altrettanto mitico eroe Fionn mac Cumhaill: Cuchulain (si veda W. B. Yeats). La sua posizione nella Storia andrebbe dunque a coincidere, disgraziatamente per i Gaelici (un Santo che maledice!), con la «tensione tra la più recente e dominante morale cristiana e il più antico e resistente temperamento celtico». Da questa perdita, tradizionalmente mai deglutita (ce lo ricorda ancora Yeats con il suo Oisin), nasce la sua follia.
Ma c’è di più, secondo Heaney, perché egli vede in Sweeney (l’assonanza fra i due nomi è consapevolmente ‘pensata’, la si legge in Station Island) anche una «figura dell’artista – sradicato, colpevole, che trova lenimento nella propria espressività». E quindi, egli conclude, «è legittimo leggere il testo come un aspetto della contesa fra libera immaginazione creatrice e le coercizioni imposte dagli obblighi religiosi, politici e domestici». Dunque, forse, anche i suoi personali.
Quanto alla traduzione, è interessante, ai fini di una conferma sulla scelta di come tradurre (sarà anche il caso del VI Libro dell’Eneide), citare le sue parole: «In certi punti ho abbreviato collegamenti narrativi e in altri ho usato il verso libero per rendere i passaggi prosastici più intensi … ma in alcuni casi ho conferito alle poesie un tono più soggettivo rispetto al testo irlandese. La forma delle stanze che ho usato non riflette il rigore della scansione sillabica e delle assonanze del metro originale». Significa che Heaney si prende libertà che gli fanno comodo.
Infine, un’ultima esplicazione: topografica. La terra del «re» Sweeney, fra la contea di Antrim e il Nord della contea di Down nell’Ulster, è la stessa calpestata da Heaney. Nato a Mossbawm nel 1939, per più di trent’anni egli ha vissuto «ai confini di quel territorio, con davanti agli occhi alcuni dei luoghi di Sweeney». Quando «ho iniziato a lavorare su questa versione mi ero appena trasferito a Wicklow, non molto distante dall’ultima dimora di Sweeney a St. Mullin’s [in quella che è oggi la Repubblica d’Irlanda]. Mi trovavo – egli continua – in una terra di boschi e colline e mi sono ricordato che il verde spirito delle siepi di Sweeney per me era stato incarnato per la prima volta da una famiglia di zingari di nome Sweeney anche loro, solitamente accampati lungo i fossi della strada che portava alla mia prima scuola. In un modo o nell’altro, sembra che mi abbia accompagnato fin dall’inizio».
È ovvio che si parla qui di un’Irlanda unita, e non solamente del nordico Ulster. Sweeney vola dappertutto («solca il cielo»), senza le frontiere odierne, senza confini. Ma, c’è da chiedersi, quale tristezza abbia accompagnato Heaney «fin dall’inizio», se è la medesima di quella toccata a Sweeney?
Stiamo raccontando di un re valoroso, derubato del suo territorio da un nuovo venuto, il quale detta legge e lancia maledizioni, condannando il legittimo sovrano alla follia e, soprattutto, a una mutazione kafkiana che lo costringe a campare nudo appollaiato sugli alberi. Se finisce su un biancospino, Sweeney sanguina come Cristo: «Sweeney restò a lungo in quella valle finché una notte non rimase impigliato sulla cima di un alto biancospino avvolto nell’edera. A stento riusciva a resistere, giacché ogni volta che si girava o si piegava, i rami spinosi lo flagellavano fino a pungerlo, tagliarlo, farlo sanguinare in tutto il corpo … Oscillò e si curvò, e Sweeney cadde rovinosamente nel folto della macchia, e si trovò a terra in una pozza di sangue» (come non pensare all’Oscar Wilde del Principe felice?).
Ma Sweeney ha ancora la forza di cantare in versi: «caduto quasi oltre la soglia della morte, / svuotato, trafitto, martoriato, / sotto un cespuglio di ruvidi rami. / Il bruno, spinoso biancospino. // Le nostre pene si moltiplicarono / quel martedì che cadde Congal. / I nostri morti una grande messe / i superstiti una fila falciata».
Un giorno Sweeney giunge alla chiesa di At-Swim-Two Birds (Cloon-burren, non lontano dalla Galway di Yeats) sullo Shannon, uno dei primi siti dell’Irlanda cristiana. Vi giunge di venerdì, quando una donna sta per partorire, e incredibilmente egli recita: «Il venerdì non è un giorno propizio, / donna, per dare alla luce un figlio, / il giorno in cui il Folle Sweeney digiuna / per amore di Dio, in penitenza. / Non ignorarmi soltanto. Ascolta. / A Moira la mia tribù fu battuta: schiacciata, mazzolata, pestata. / Come il lino gramolato da queste donne. // Dalla rupe di Lough Diolar / fino a Derry Colmcille / vidi grandi cigni, ne udii il richiamo, / il dolce rimprovero per guerre e battaglie. /…/ O Cristo, pieno d’amore e senza peccato, / ascolta la mia preghiera, soccorrimi o Cristo, / e fa’ che nulla ci separi. / Accoglimi per sempre nella tua grazia». Si ricordino i cigni arcani a Cool Park di Lady Gregory, vicino a Galway, rifugio di Yeats.
Di contro al mistero del canto del cigno, la mutazione di Sweeney si è completata ma è deterministica, ovvero è così solo a patto che, almeno geograficamente, l’Irlanda sia unita. Alla fine di questa triste storia, il povero Sweeney cristologico e assetato (d’amore per la sua Irlanda?) diventa uno «scuro sudario della terra», nei pressi di St. Mullin’s, dove rimane (per i turisti interessati) una «Fonte del Pazzo». La fonte di Sweeney.