Non si tratta solo di «vedere» un film di Aleksandr Sokurov, ma di arrivare a respirare in sintonia con il suo ritmo, come sollevati in un universo parallelo, pur mantenendo una giusta distanza, esperienza che poche volte il cinema concede e solo quando non racconta storie ma si fa astrazione artistica. L’occasione di rivedere alcuni dei suoi classici e di partecipare a una masterclass condotta da Massimo Causo è stata offerta dal Festival del cinema europeo di Lecce (8-13 aprile) che ogni anno, accanto alle nuove produzioni punta l’attenzione su un autore speciale. Sono così venuti a Lecce nel corso degli anni tra gli altri Carlos Saura, Kaurismaki, Costa Gavras, Iosseliani, Terry Gilliam, oltre a una magnifica retrospettiva Tarkovskij, quasi simbolica anticipazione a questa di Sokurov che del regista fu fraterno amico e fu da lui protetto negli anni più difficili della lunga censura: «Ci sono bellissime pagine della mia amicizia con Tarkovskij, sono bellissimi ricordi, abbiamo parlato di cinema ma anche della vita. Ho persino timore a parlarne oggi. È stato per me un sostegno fisico e morale nei periodi di difficoltà del governo sovietico. Quando l’ho incontrato attraversava un periodo difficilissimo della sua vita, fatto di povertà della sua famiglia nell’Urss morente, con le sue ossessioni che forse erano vere, di essere spiato dal Kgb, tra la totale invidia dei suoi colleghi, soprattutto di quelli della sua generazione. La vita nell’Urss dell’epoca era veramente difficile, con l’idea che la vita in occidente fosse meravigliosa. Forse non era così ma lo si credeva. Con il suo umore cupo si confidava con me, in me ha trovato qualcuno a cui affidare i suoi pensieri. In Urss ha fatto film veramente costosi, cosa che poi non è successo in occidente, dove aveva budget molto ridotti e in quel modo le capacità di un regista non si sviluppano. Era diventato più importante come profugo, come testimone di una situazione politica».

Aleksandr Sokurov

PER PARLARE della fragilità dell’uomo al centro del suo cinema parte da lontano: «Per parlare di valori bisogna avere un sostegno alle spalle e il mio è l’Europa, non quella contemporanea ma quella classica che ci ha permesso di essere come siamo oggi. Il ruolo dell’uomo è cambiato, nel senso del suo carattere. Il tempo scorre ma il carattere dell’uomo è la cosa più misteriosa. Tra un imperatore e un semplice contadino non c’è differenza. Spesso le grandi decisioni delle persone al potere non derivano dalla ragione ma dal carattere e molto spesso il caos politico è un segno che fa vedere la qualità spaventosa del carattere». Queste considerazioni derivano direttamente dalle sue considerazioni sul lavoro che sta iniziando ad approfondire per il suo prossimo film che indaga sui caratteri dei maggiori protagonisti della seconda guerra mondiale, Hitler, Stalin, Chrurchill, Mussolini. «Tutte persone che hanno avuto la sfortuna di trovarsi troppe persone accanto».

L’ARTE
Rispetto alla fragilità dell’uomo, l’arte ha una potenza irresistibile: ne sono testimonianza oltre che i suoi film l’attenzione che porta alle gallerie d’arte, l’Hermitage, il Louvre (a patto che per salvare un’opera d’arte non ci vada di mezzo la vita dell’uomo, come suggerisce in Francofonia). È innegabile l’importanza che dà alla cultura («non ci abbandonerà mai») ma un elemento chiave è l’importanza del canone.

IL CANONE
«La mancanza del canone porta a un notevole danno, perché non esiste la libertà nell’arte o l’arte nuova. Esiste solo l’uomo nuovo che basandosi sull’esperienza del vissuto porta qualcosa di nuovo nei cerchi dell’esistenza. Per non tornare ancora alle guerre religiose e politiche noi siamo oggi sul filo del rasoio, tra poco dovremo saltare nelle trincee. Oggi non esiste canone nell’arte e nella politica, un canone inteso come limite.
Il canone nella cultura è la cosa più difficile oggi perché cancella la libertà di espressione nell’arte. Per esempio il cinema è un’arte pericolosa come ogni arte che si sviluppa nel tempo.

LA LETTERATURA
Il cinema combatte la letteratura, cerca di cancellarla. Lo scrittore dice: leggi, rifletti, non ti sto imponendo nulla, sii libero, sii umano, usa la testa, diventa il mio coautore». Karenina che si butta sotto al treno, dice, è l’esempio più lampante, il romanzo ci fa interrogare su quel gesto così enfatizzato in un film. «Nella letteratura lo scrittore non dice mai la cosa più importante, nel cinema il regista dice tutto e molto spesso non ha neanche così tanto da dire».

IL CINEMA
«Il cinema è stato il grande regalo del totalitarismo, all’epoca del comunismo e del nazismo, come se il dittatore dicesse al popolo: smetti di pensare, ci penso io. Anche il cinema fa la stessa cosa: vi faccio vedere una storia con un montaggio accattivante, basta che paghiate il biglietto e poi ve ne andiate.
Quindi è molto importante spiegare al regista che ci sono cose non può fare: non dare attenzione ai criminali, o all’odio. Anche se le persone provano odio in una fase della vita, nel corso del tempo cambiano atteggiamento, mentre se un giovane vede sullo schermo solo atteggiamenti di odio dentro di lui avviene qualcosa di irreversibile. Non si può far vedere una persona che ne uccide un’altra, la terribile fine di chi muore colpito da un’arma da fuoco è una menzogna, un gioco. Il processo della morte è pesante e umiliante. Il nostro compito come registi è inserire nobiltà, pazienza, delicatezza. Persino la fede cristiana non è così delicata, abbiamo inflitto uccisioni e torture giustificate dalla legge».

LA SCUOLA
Questi sono insegnamenti che fanno parte di un «programmazione morale», un programma di studi impartito alla scuola di cinema di Sokourov da cui sono appena usciti alcuni studenti che già si sono fatti notare ai festival come Aleksander Zolotukhin già al Forum di Berlino ed ora in programma a Lecce con A Russian Youth. «L’arte partecipa alla proliferazione del male» avverte Sokurov, da regista vi avverto, quando guardate un film non abbandonatevi al film, non dategli la vostra sconfinata fiducia perché ci sono registi che sono mestieranti, ma sono diavoli veri.

IERI E OGGI
Sokurov ha iniziato negli studi della Lenfilm negli anni ’80 con film che solo nell’86 furono rimessi in circolazione(Sonata a Hitler, Sonata per viola, La voce solitaria dell’Uomo) e subito visti a Pesaro e a Locarno: «Ho cominciato quando vigeva il regime della censura, quindi ogni idea passava al controllo del partito comunista, eravamo abituati a questo, lo stato proponeva le regole del gioco. Oggi il sistema è molto più complicato di com’era nello stato totalitario perché i comunisti non pensavano al budget, ma agli autori e alla coerenza.
Con la censura non ideologica ma finanziaria ti puoi trovare in una situazione difficile. Allora c’era la guerra e la linea, quelli pro e quelli contro. In Russia oggi non ci sono fondazioni che finanziano i film, li finanzia solo lo stato e in questo senso siamo tornati al tempo del comunismo».