Il centrosinistra tenta di riprendersi il comune di Verona, governato dal 2007 a oggi da sindaci di centrodestra: prima con Flavio Tosi (ex Lega) e ora con Federico Sboarina (FdI). L’uomo a cui è stato affidato questo compito è Damiano Tommasi, 47 anni, ex calciatore di Hellas Verona, Roma e della Nazionale ed ex presidente dell’Associazione italiana calciatori. A Verona è conosciuto anche per essere socio fondatore e dirigente scolastico della Don Milani Bilingual School. La coalizione di centrosinistra che lo sostiene sotto la sigla Rete! è formata da Pd, Azione, Più Europa, Partito socialista, Europa Verde, Traguardi, In Comune per Verona, Volt, Demos e M5S. Il centrodestra si presenta invece diviso all’appuntamento del 12 giugno. Da una parte il primo cittadino uscente Federico Sboarina, sostenuto da FdI, Lega e civiche, dall’altra l’ex sindaco Flavio Tosi, appoggiato da Fi, Iv e altre formazioni. A completare il quadro dei candidati per Palazzo Barbieri,Alberto Zelger, ex leghista, del movimento no green pass, e Anna Sautto del Movimento 3V.

Tommasi, non teme che Verona sia troppo a destra per poter sperare in una vittoria?

Questo pensiero è più rivolto al fatto che Verona è restia a cambiare. Sicuramente è troppo fossilizzata su destra e sinistra, ma c’è tanta gente che vuole una città diversa. La nostra proposta politica è una novità per la città e raggruppa forze che non sono di destra e che hanno come obiettivo Verona. Non sono mai stato iscritto a un partito e la mia proposta fa quindi fatica a entrare nello schema mentale di essere a destra o a sinistra di qualcuno, specie in una competizione cittadina dove occorre proporre soluzioni per migliorare in maniera diffusa la vita della città. Ci sono invece due fattori che mi preoccupano di più.

Quali?

L’assenteismo dalla politica partecipata e di conseguenza dal voto e la difficoltà a Verona di cambiare passo.

Dov’è allora che Verona deve cambiare?

Nella percezione di sé e del ruolo che ha all’interno del territorio in cui è inserita. Ma deve avere anche un’ambizione nazionale e internazionale per esprime in maniera coordinata il grande potenziale di eccellenze che possiede e non solo in modo individuale. Un cambio di mentalità che si dovrà tradurre in fatti e scelte da portare avanti nei prossimi anni.

E dove occorre dare un segno di discontinuità e di alternativa rispetto all’attuale amministrazione?

Per esempio con l’istituzione di un assessorato specifico alle relazioni con il territorio e internazionali per essere efficaci nella partecipazione ai bandi europei e nazionali per essere al servizio di quanti oggi senza le istituzioni faticano a inserirsi in queste dinamiche.

La pandemia ha messo un numero elevato di famiglie veronesi sulla soglia della povertà. Cosa dovrebbe fare una buona amministrazione comunale per aiutarle?

Esser loro vicino, al di là degli aiuti economici che si possono mettere in campo. Questo lo si attua implementando la presenza e l’ascolto nei quartieri, mettendo in rete tutte le risorse del terzo settore e il volontariato per ricostruire quel senso di comunità che è sempre più fondamentale nell’evoluzione della società.

Il tema della sicurezza a Verona è da sempre il cavallo di battaglia delle destre. Ora nel mirino ci sono le baby gang. Come si interviene?

Non nascondendo il fenomeno, ma affrontandolo in tutti i molteplici campi: dalla violenza domestica ai crimini sul web alle infiltrazioni mafiose. Spesso quando si parla di sicurezza il problema lo si racchiude in slogan di contrasto alla microcriminalità in termini sanzionatori o punitivi e poco tesi a ’curare’ la causa. In giovane età i reati sono sintomi. Dal punto di vista elettorale è più conveniente parlare della cura del sintomo invece delle cause anche perché è più complesso e non fa presa su chi vuole, a prescindere, sentirsi tranquillo o essere al sicuro semplicemente perché si puniscono degli adolescenti che commettono reati. Occorre invece affrontare il problema in maniera più strutturata con le famiglie e le scuole.

Come accennava lei, preoccupante è il tema della criminalità organizzata che ha portato la Prefettura di Verona a emettere 19 interdittive antimafia negli ultimi tre anni. Il suo punto di vista.

Ci sono progetti e associazioni nazionali che sono di supporto alle amministrazioni pubbliche su questo tema. Occorre valorizzare e difendere l’imprenditoria “sana” e avere un rapporto stretto e costante con le organizzazioni di categoria per costruire una rete di protezione da questo fenomeno.

Nel rapporto «Mal’aria» 2021 di Legambiente è scritto che a Verona sono stati 73 i giorni in cui la centralina ha superato il limite di PM10. Quali politiche occorre introdurre per migliorare la qualità dell’aria?

Bisogna partire dalla qualità della rilevazione perché spesso è carente, non è diffusa e non in linea con le tecnologie. Quindi bisogna investire su questi punti. Migliorare la qualità dell’aria è un obiettivo non più eludibile per qualsiasi amministrazione. La nostra attenzione sarà massima: nella nostra coalizione ci sono persone credibili e competenti in questo campo proprio perché hanno fatto battaglie per anni sul tema. La qualità della vita, l’ambiente, il rispetto della natura, il verde non escludono lo sviluppo, l’economia e il lavoro. La sfida è rendere il Green Deal, su cui tanto investe l’Europa, un’abitudine nella mentalità di qualsiasi amministratore.

In tema di diritti Lgbtq+, con lei sindaco di Verona, come cambierà l’approccio?

Credo che il tema non riguardi solo l’orientamento sessuale, ma i diritti. Basterebbe osservare di più la Costituzione e verrebbe tutto più naturale. Credo che siamo arrivati in un tempo in cui dobbiamo mettere tutti nelle condizioni di essere cittadini con pari diritti e doveri.

Lei è riuscito a far convivere all’interno della sua coalizione Azione di Calenda e M5S. Quale alchimia ha utilizzato?

Avverto per ogni singolo gruppo un buon motivo per riconoscersi in me: nel mio modo di fare e nel pensiero. Ho delle idee per Verona che coincidono con il sentimento di tante persone che poi si identificano con i partiti o liste civiche che mi sostengono e che fino a ieri non erano riuscite a mettere sul tavolo una linea comune per la città perché anteponevano altre identità e altri valori che non consentivano di dialogare su un terreno comune. Oggi il terreno comune c’è ed è la vera novità per Verona.

Ha aiutato anche il fatto che il M5S non presenta una propria lista…

Una cosa che siamo riusciti a fare è dare un nome a questa coalizione che fosse anche di sintesi del metodo e del senso di questa proposta politica: Rete! A quel punto ogni singolo diventa, non dico secondario, sicuramente piegato su un progetto comune un po’ più ampio rispetto all’individualità. Sicuramente saremo diversi su alcuni temi, ma abbiamo tutti bene in mente che dobbiamo cambiare la visione della città. E soprattutto il tema più importante è quello della responsabilità.

Quanto incide sul suo pensiero politico-amministrativo l’insegnamento di Don Milani?

Una delle prime frasi che abbiamo inserito nel programma è la definizione che ha dato Don Milani della politica: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia». Non so quanto c’è di Don Milani in quello che faccio, sicuramente ha ispirato tantissime scelte della mia vita.