Al contrario di quel che ha detto il presidente Mattarella, citando Charles Hughes in un passaggio del suo discorso al Paese, «quando perdiamo il diritto di essere differenti perdiamo il privilegio di essere liberi», sembra invece che le differenze, la pluralità delle voci non vadano per la maggiore: prevale invece la spinta al conformismo e al capo «supremo». Perché uno degli aspetti politici (o sub-politici) che ereditiamo dal 2019 è il desiderio di avere «l’uomo forte» al comando. Come rivelavano da tempo varie ricerche, e come ha ribadito l’ultimo rapporto Censis, la maggioranza degli italiani vorrebbe questo tipo di figura politica, l’unica in grado di guidare il Paese – a sentire i fan – senza dover sottostare alle regole della democrazia.

Ovviamente non è una novità, la storia dell’umanità è contrassegnata dagli uomini «forti». Nell’epoca moderna la politica ha però accettato il compromesso – o la sfida – tra primato dei partiti e del Parlamento da un lato, e uomo forte dall’altro. E gli esempi non mancano. Nel mondo e in Italia. A sinistra come a destra. Per dire, Renzi voleva essere l’uomo solo al comando e così facendo ha quasi distrutto il suo ex partito. Salvini ha invece un partito di yes men e continua a dare un’immagine di se stesso determinata e decisionista.

Va da sé che si tratta di comportamenti contrari ai princìpi e ai valori attraverso i quali si è costruita la nostra Repubblica.

Eppure la voglia di «uomo forte» viene alimentata ogni giorno anche da settori, persone, mondi insospettabili. Un esempio lo offriva Il titolone con cui Repubblica chiudeva l’anno: «Anti Salvini cercasi», basato sulle risposte al sondaggio di Ilvo Diamanti, dal quale emergeva che il leghista era sia il migliore politico italiano che, soprattutto, il peggiore. E che tutta la politica del 2019 aveva ruotato intorno alla sua figura. Così fotografando una situazione abbastanza evidente. Ma perché forzare questo dato di fatto per sovrapporre un concetto titolando appunto «Anti Salvini cercasi»? Chi lo chiede? L’opinione pubblica o i media ai quali piace la comunicazione che vive di slogan, che bypassa l’intermediazione politica, che parla direttamente al popolo, che costruisce consensi e individua il nemico?

L’esplosione del ruolo dei social ha sicuramente contribuito a «valorizzare» il peso dell’uomo forte. Fateci caso: quelli più gettonati, sono i politici che li usano non per aprire dialoghi, discussioni, ma per lanciare battute ad effetto, riconducibili non a un partito – e quindi ad un «collettivo» – bensì al singolo individuo. Appunto l’uomo forte.

L’anti politica e l’anti partitismo sono dentro tutto questo.

Tuttavia, se proprio dobbiamo cogliere l’esigenza di un’alternativa personalistica a Salvini, possiamo dire che già c’è ed è Conte (al secondo posto nel sondaggio come uomo politico migliore). Che probabilmente se l’è guadagnato nel famoso discorso alla Camera, quando di fronte ai parlamentari e di fronte al Paese, trattò il leader leghista come un bambino viziato, arrogante, prepotente. In quei minuti – senza precedenti nella storia recente del Parlamento – Conte mise a nudo quel presunto re dimostrando di poter essere il leader da contrapporre a Salvini, senza tuttavia proporsi come uomo forte.

La nostra idea sulle leadership è completamente diversa. È ancorata alle persone, uomini e donne, non ai singoli, si basa sul confronto democratico, non vive di certezze perché trova forza anche nei dubbi, tenta di convincere, non di imporre. E non cerca il facile consenso perché crede nella partecipazione, una convinta tendenza espressa anche dai movimenti come le Sardine. Perciò sarebbe una buona cosa se nel 2020 il mondo dell’informazione fosse meno subalterno alle smanie per gli «uomini forti».