Avendo trascorso quasi metà della mia vita fra musicisti e conservatori, ho imparato molto presto che il mondo dei suoni divide chi lo pratica in due partiti, quello degli strumenti a fiato, e quello degli strumenti a corda. In entrambi i casi, una parte del corpo e il suo uso diventa il centro dell’esistenza perché imparare a suonare bene uno strumento significa dedicarvisi ore e ore al giorno, ogni giorno, per anni, sapendo che quella dolce dittatura non finirà mai, perché se smetti anche per brevi periodi perdi tecnica e agilità, proprio come un atleta che smette di allenarsi.

La vita di un musicista e una parte del suo corpo sono condizionati dallo strumento, anche quando va in vacanza. Conosco un trombettista che, mentre la famiglia andava in spiaggia, correva a studiare sotto il ponte di un’autostrada, l’unico posto dove nessuno si sarebbe lamentato delle sue performance che duravano ore. Altri hanno infilato la tromba o il trombone nell’armadio o nell’accappatoio per non dare fastidio ai vicini, altri ancora hanno piazzato la batteria in cantina, in garage o in un pollaio dismesso, per non parlare di chi ha comprato una cabina insonorizzata o di chi ha scelto di vivere in campagna per risolvere la cosa una volta per tutte.

Ci sono pianisti che hanno rotto fidanzamenti perché non riuscivano a separarsi per più di tre giorni dalla tastiera e sassofonisti che, per poter studiare la sera, per anni sono andati a fare pratica in auto parcheggiando nel piazzale della stazione del loro paese. Alla fine conoscevano le storie clandestine, gli orari di ritorno dei pendolari, avevano stretto amicizia con i vigili urbani che facevano la ronda e con i padroni che portavano fuori i cani prima di andare a dormire. Chi non ha mai studiato uno strumento non immagina a quale disciplina tirannica ci si debba sottoporre per non perdere il labbro (così si dice in gergo), l’agilità delle dita o i calli ai polpastrelli.

Sì, proprio i calli che si formano, volenti o nolenti, su tutte le dita che premono corde di viole, violini, violoncelli, contrabbassi, chitarre, liuti, arpe e via dicendo.

Tito Mangialajo Rantzer, bravissimo contrabbassista jazz, una volta mi ha raccontato come si fa a farseli crescere. «Cominci a suonare e ti vengono le vesciche sui polpastrelli. Aspetti che passino, ricominci a suonare e ti viene un’altra vescica. Riaspetti che guarisca e ricominci daccapo finché il callo si installa, ispessisce e diventa una parte di te». Smettere o rallentare lo studio, vuol dire ricominciare daccapo questa trafila e questa è una delle ragioni che spiega perché un musicista raramente si separa per più di due settimane dal proprio strumento.

Calli si formano anche fra l’orecchio e la spalla di violisti e violinisti, proprio nel punto in cui lo strumento si appoggia, calloso diventa un certo punto del labbro di chi per ore e ore stringe l’ancia doppia di un oboe o di un fagotto, di chi soffia nel bocchino di un corno, così come ipertrofie muscolari accompagnano la mano sinistra di violinisti, violoncellisti, contrabbassisti, per non parlare delle unghie di pianisti, clavicembalisti, organisti che corrono a spuntarle appena si frappongono fra il dito e la tastiera.

Il corpo dei musicisti subisce anche dicotomie, come nel caso dei chitarristi che hanno la destra con unghie lunghe e durissime, per pizzicare le corde, mentre la sinistra ha polpastrelli callosi e unghie che sembrano dei mozziconi. Nel caso vogliate fidanzarvi con un/a musicista, sappiate che: a) dovrete sempre dividerlo/a con uno strumento; b) se vi accarezza solo con una mano non è per pigrizia, ma farvi un favore.

mariangela.mianiti@gmail.com