La scatola scura chiamata televisione (vedere lontano, alla lettera) si regge su alcuni archetipi classici, solo parzialmente rinnovati dalle più evolute modalità di fruizione. Parliamo dell’informazione, dell’intrattenimento, dei film e della fiction, dei programmi educativi e dello sport. Anzi, proprio quest’ultimo è diventato – insieme alle serie – l’architrave dell’ascolto e del richiamo pubblicitario.

In verità, attorno ai diritti di trasmissione del calcio si sta giocando una partita parallela a quelle che si svolgono sul campo di gioco.

Da quando c’è la pandemia, con la conseguente assenza del pubblico sugli spalti, il video è ancor più importante. Già. Ma negli anni passati il discorso riguardava soprattutto la televisione generalista in chiaro, lo strumento – con la radio – davvero adatto a coprire la domanda senza aggravio di costi per l’utenza tifosa o interessata.

La competizione per accaparrarsi le trasmissioni era a due: Rai e Mediaset. Ora, con la progressiva espansione del «modello pay», nonché della diffusione attraverso il satellite e la rete, la questione si è aggrovigliata.

Nel frattempo di fatto è uscita di scena la Rai, nel suo amletico interrogarsi su cosa sia o non sia un servizio pubblico e con risorse limitate; e si è appannato il gruppo berlusconiano dopo il flop dell’offerta premium.

A questo punto, lo scontro si è ridotto a una coppia di contendenti (Sky e Dazn), che utilizzano piattaforme o piuttosto care o di difficile ricezione per chi non è connesso con filo o Wifi. Sulla presenza del gruppo che fa uso dello streaming – Dazn – pende, poi, il dubbio di una pratica anticoncorrenziale in ragione dell’evocato rapporto con Tim, a sua volta sotto osservazione a causa dell’ingombrante presenza societaria di Vivendi con i suoi due pretendenti.

Come arlecchino, il magnate francese Bolloré ha due referenti: sia la società telefonica sia l’arcipelago della Fininvest.

Chissà se la prossima riunione delle società calcistiche, alle prese con l’eventuale ingresso di fondi sovrani in un’apposita «media company», sarà conclusiva. La Lega, intestataria del diritto a trattare in base al decreto legislativo del 2008 firmato dall’allora ministra Melandri, dovrà pure decidere.

Tuttavia, il mondo di riferimento è diviso e ha interessi assai diversificati, a seconda del grado di audience potenziale e del radicamento territoriale delle squadre.

La normativa fu aggiustata nella legge di bilancio del 2019 ad opera del titolare dell’apposito dicastero Lotti, ma è un pasticcio. Del resto, la questione esce dai canoni normativi ed è un puro esercizio di rapporti di forza ed alleanze. Così era nel 1999, quando con la legge 78 fu tentato un riequilibrio nelle attribuzioni dei diritti e si introdusse la disattesa norma sul decoder. Simile strumento atto alla ricezione nell’età digitale fu immaginato unico, per tutelare i consumatori.

Il tema è attualissimo. Basterebbe, in base a quella saggia previsione, prevedere schede differenziate, senza cambiare gli apparecchi. Purtroppo, anche simile decisione fu abrogata dal Testo unico del 2005, voluto non da Giustiniano bensì da Gasparri.

Insomma, di fronte a conflitti così poco commendevoli per ottenere esclusive sulle partite con cifre che sembrano spropositate rispetto al valore reale (il mercato è solo una convenienza o un’ideologia, presidente Draghi?), chi tutela i cittadini? Donne e uomini considerati carne del macello immaginario, cui è tolto il diritto ad avere diritti.

Due sono le istituzioni chiamate a vigilare secondo gli articoli 19 e 20 del testo Melandri: l’Antitrust e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Che si aspetta a rovesciare l‘ordine degli addendi, mettendo in testa le persone appassionate di calcio, e non la miscela costituita da società indebitate e televisioni in cerca di autore?

Il calcio attraversa gli schieramenti e gode di sotterranee complicità. Se nella televisione le leggi contano poco, nei rapporti con il dio pagàno del calcio sono un plissé. Tra l’altro, gli altri sport non meritano qualche maggiore attenzione mediatica? Si ricorra da parte delle autorità, se si ritiene di mettere un po’ d’ordine democratico, ad una segnalazione al parlamento.

O lo sport è solo oppio dei popoli?