Un’indagine interna del Karolinska Institutet di Stoccolma ha stabilito che il chirurgo italiano Paolo Macchiarini e altri sei ricercatori dell’istituto sono responsabili di «cattiva condotta» nella loro attività scientifica. La sentenza è stata comunicata lunedì scorso da Ole Petter Ottersen, presidente del prestigioso Karolinska dove ogni anno si assegna il Nobel per la medicina e dove Macchiarini ha lavorato tra il 2010 e il 2016. Macchiarini e colleghi sono stati riconosciuti colpevoli per aver compiuto interventi chirurgici sperimentali «senza un appropriato consenso informato» e talvolta senza una sufficiente base scientifica. Inoltre, le pubblicazioni scientifiche, pubblicate su riviste autorevoli come Lancet, contenevano «errori» e informazioni «falsificate» o «fuorvianti» sulle condizioni dei pazienti prima e dopo gli interventi.

La decisione chiude definitivamente uno scandalo che ha spaccato la comunità scientifica negli ultimi anni. Finora, il Karolinska aveva difeso il suo chirurgo dalle critiche. Ora, sotto la direzione del nuovo presidente, anche l’istituto svedese ha riconosciuto le sue responsabilità e le complicità di cui ha goduto, che coinvolgerebbero quasi cinquanta ricercatori.

NONOSTANTE il protagonista fosse italiano, da noi la vicenda è meno conosciuta e forse vale la pena ricordarla. Quando a fine 2010 approda al Karolinska Institutet, uno dei più quotati centri di ricerca medica al mondo, Macchiarini è un astro nascente della chirurgia toracica sperimentale. Due anni prima, a Barcellona ha effettuato il primo rivoluzionario trapianto di trachea che utilizzava le cellule staminali della paziente. Grazie alle staminali, l’organo non avrebbe provocato rigetto: una nuova era nel mondo dei trapianti. L’intervento era stato descritto sulla rivista Lancet e la notizia aveva fatto il giro del mondo. In realtà, il tessuto trapiantato degenera dopo pochi mesi ma nessuno se ne cura. Secondo il giornalista Leonid Schneider, che da anni conduce un lavoro di inchiesta documentatissimo sulle imprese di Macchiarini, la paziente è sopravvissuta solo grazie alla successiva rimozione del trapianto.

NEL FRATTEMPO la fama di Macchiarini cresce a dismisura. Negli anni al Karolinska, il chirurgo esegue una dozzina di trapianti di trachea basati sulle cellule staminali e puntualmente riportati in pubblicazioni prestigiose. Grazie a lui l’istituto raccoglie finanziamenti e punta a divenire un centro mondiale per la medicina rigenerativa delle vie respiratorie. Tuttavia, al Karolinska i primi allarmi sui metodi di Macchiarini emergono già nel 2011. Nei pazienti operati si osserva un tasso di sopravvivenza bassissimo e spesso mancano le autorizzazioni sanitarie e le evidenze scientifiche a supporto delle tecniche utilizzate.

Per qualche anno, il Karolinska lo difende. D’altronde, con le tecniche sperimentali è impossibile ottenere percentuali di successo del 100%. E trattandosi di «cure compassionevoli», da utilizzare quando ogni altra terapia non funziona, i pazienti erano già in condizioni disperate. Così, nel 2015 una prima indagine interna assolve Macchiarini. Lancet, la rivista su cui vengono pubblicati i resoconti degli straordinari trapianti, pubblica un editoriale durissimo: «trascinare la reputazione di uno scienziato nel tubo di scarico della cattiva pubblicità prima della conclusione dell’inchiesta è indifendibile».

Anche in Italia Macchiarini ha alleati, almeno all’inizio. Prima di trasferirsi a Stoccolma, Macchiarini è primario al policlinico di Firenze. Per ottenere il posto ha presentato un curriculum con punti da chiarire. Il preside di allora, Gian Franco Gensini, non li rende pubblici. Il chirurgo ha buoni sponsor. A portarlo a Firenze è stato Enrico Rossi, potente assessore regionale alla sanità e poi governatore.

NEL 2012, però, Macchiarini viene arrestato a Firenze e accusato di aver truffato i pazienti affinché si facessero operare all’estero o a pagamento in strutture private. Esce dopo una ventina di giorni e il processo finisce con un’assoluzione. Ma in Italia non lavorerà più, e a Stoccolma viene riaccolto a braccia aperte.
Tuttavia, a far crollare definitivamente la sua difesa è una vicenda che ha ben poco di scientifico. A inizio 2016, il magazine Vanity Fair racconta l’incredibile storia d’amore tra Macchiarini e la giornalista statunitense Benita Alexander. Nel 2013 lei deve realizzare per la Nbc un documentario sul chirurgo-star, allora sulla breccia. In barba ai luoghi comuni sull’obiettività del giornalismo anglosassone, Alexander e Macchiarini iniziano una relazione. Lui le confida di essere il medico personale (e segreto) di Obama, dei Clinton, dell’imperatore Akihito e di papa Francesco.

Dopo un anno decidono di sposarsi: Bergoglio in persona celebrerà il matrimonio a luglio 2015. Oltre agli amici Clinton e Obama, tra gli invitati figurano Putin, Sarkozy, Elton John e Andrea Bocelli, che canterà per gli sposi. Peccato che, a due mesi dal matrimonio, il papa annunci un viaggio in America latina, proprio nella data prevista per la cerimonia. Benita Alexander scopre così che il bel chirurgo le ha raccontato una sequenza patologica di bugie. Il matrimonio non è mai stato organizzato, Macchiarini non è il medico personale del Papa e risulta regolarmente sposato in Italia. Bocelli, ridacchia la sua agente, non canta certo ai matrimoni.

QUANDO LA VICENDA personale diventa pubblica, la buona fede di Macchiarini appare insostenibile anche in campo scientificio. Un documentario alla TV svedese espone in prima serata tutti i dubbi sul medico italiano. Per lo scandalo si dimette il presidente del Karolinska Institutet, Anders Hamsten, e diversi dirigenti dell’istituto. Quattro giurati abbandonano la commissione che assegna il Nobel. Macchiarini viene licenziato, ottiene un posto in Russia e poi viene cacciato anche lì.
Eppure l’onda lunga delle sue ricerche prosegue. L’Unione Europea nel 2016 assegna sei milioni di euro per realizzare una sperimentazione clinica della «tecnica» di Macchiarini guidata da Martin Birchall, il suo principale collaboratore. In Italia partecipa anche l’ospedale universitario di Brescia, come riporta tuttora il sito dell’università. Ma ora all’ospedale nessuno sembra saperne nulla. Il comitato etico bresciano, interpellato dal Manifesto, non ha rilasciato alcuna autorizzazione. Secondo altre fonti il trial è stato sospeso ma due milioni di euro sono già stati spesi. Se tutto va bene, gli ultimi di questa storia.

CI SONO NUMEROSE somiglianze tra la vicenda Macchiarini e un’altra celebre truffa medico-scientifica, quella di Vannoni/Stamina. Anche lì si trattava di cellule staminali usate per cure compassionevoli, che mandano a nozze i ciarlatani. Le cellule staminali generano davvero i vari tessuti dell’organismo (anche se le applicazioni terapeutiche sono ancora poche) ed è facile convincere un non-esperto che si possa riprodurre una trachea o un neurone. Le cure compassionevoli permettono di intraprendere una terapia non ancora autorizzata ma con evidenze scientifiche promettenti quando ogni altra strada è già stata esplorata. Invece, l’escamotage è spesso utilizzato per applicare trattamenti potenzialmente dannosi su pazienti che, per le loro gravi condizioni, non sono in grado di compiere una scelta terapeutica realmente informata.

A differenza del caso Stamina, però, la vicenda Macchiarini evidenzia una deriva più generale della comunità scientifica. Come fanno notare Christian Berggren e Solmaz Filiz Karabag dell’università di Linköping (Svezia) in un’analisi pubblicata su Research Policy dello scorso aprile, le complicità godute da Macchiarini si spiegano con l’enorme conflitto tra le buone pratiche scientifiche e la logica aziendale ormai diffusa negli istituti di ricerca pubblici e nelle riviste scientifiche. Molti dei collaboratori di Macchiarini erano anch’essi in posizioni rilevanti al Karolinska.

Perciò avevano tutto l’interesse e il potere per zittire chi accusava il chirurgo, che da parte sua garantiva pubblicità e finanziamenti all’istituto. Lo stesso vale per le riviste come Lancet, decisive nello scandalo Macchiarini. Le pubblicazioni di grande impatto mediatico, anche se scientificamente traballanti, aumentano il «ranking» della rivista e fanno alzare i prezzi degli abbonamenti. Perciò, le riviste chiudono un occhio e le pubblicano senza troppi controlli.