È in atto una crisi culturale, un problema non solo italiano ma che riguarda la specie. È in corso, da decenni, una crisi pedagogica, di grande consistenza, che genera, ormai quotidianamente, atti di bullismo, da Lucca, Milano a Bari, passando per Velletri. Si tratta di una toponomastica che rileva un fallimento educativo, culturale, politico. Abbiamo fallito tutti, perché ognuno, in qualche misura è educatore. E se fallisce la famiglia, avviene quel processo, quasi naturale, dello scarica barile, che si ripercuote sulla scuola. Questa, che dovrebbe essere l’agenzia principe in cui imparare, piuttosto che «cose» (competenze) comportamenti, sapere e processi che derivano dalla poesia, dalla letteratura, dalla storia, dalle leggi fisiche e matematiche, quelle che ancora reggono in un loro sistema, invece, è stata depauperata e resa sterile.

TUTTO SEMBRA essere regolato dalle stesse leggi che Marchionne insegue per incrementare i suoi profitti. Siamo in un sistema scolastico funzionale, in cui anche io, docente, non sono altro che un perno che regge un sistema rotatorio con una sua funzione, utile a riprodurre un tot numero di diplomati, prodotti in serie. La scuola ha una sua funzione e di essa ci si serve sempre più per far funzionare il sistema, specie quando l’immissione in ruolo di migliaia di insegnanti ci si illude che possa servire ad oliare la macchina. Come fosse la mancanza di insegnanti il vero problema della scuola italiana.

NELLA SCUOLA pubblica non crede più nessuno, tantomeno chi sale sullo scranno e, a seconda del titolo di studio, posseduto o meno, si inventa delle (non) riforme, utili a rendere la scuola industria con padroni, controllori e controllati, numeri, che a loro volta devono rispondere a test cifrati. E se prima, almeno, la scuola era il luogo della conoscenza (gli ultimi dati rilevano una consistente ignoranza degli studenti italiani in diverse discipline, dal Nord al Sud), figurarsi se si può parlare ancora della scuola come il luogo dell’educazione alla sapienza, quella per cui avvertire quel senso di stupore e di meraviglia, che solo a scuola si può insegnare. E i bambini non spalancano più le loro bocche, perché non gli si insegna più storie utili a provocargli quel senso di bellezza e meraviglia. Gli adolescenti si annoiano e gli universitari abbandonano.

La vera riforma dovrebbe attuarsi cambiando i programmi, i contenuti, ponendo al centro dell’interesse più che come insegno, cosa offro. E non sono le Lim, le tante innovazioni tecnologiche, che hanno generato solo la «scuola dei senza…», a garantire il buon rendimento della scuola, altrimenti non avremmo un atto di bullismo ogni quattro giorni. Se tornassimo ad insegnare ai nostri figli, sin dall’età più piccola, lo stupore, eviteremmo di insegnare anche a loro, dalla scuola elementare, a rispondere a dei test con le crocette, deprivati di colore, privi di qualsiasi forma e di immaginazione. Numeri. E così fino all’Università, dove si devono superare test, piuttosto che esami in cui confrontarsi con altre teste. Tutto questo genera un clima di ostilità, di diffidenza e di sfiducia, sia in chi avrebbe la pretesa di educare, ma soprattutto nei bambini, nelle bambine e negli adolescenti.

I BULLI SONO lo specchio di un’educazione che evidentemente genera solo frustrazioni e disistima, che hanno sfogo nella violenza. se si lascia erodere la scuola, discreditandola, sia quando i nostri figli sono a casa ma soprattutto dando il cattivo esempio che proviene da qualsiasi politica in atto nel nostro paese, perché meravigliarsi del bullo di Lucca che minaccia il suo professore, intimandogli di mettere un sei sul registro? Dove sta l’arcano se un padre, in una scuola di Bari, prende a pugni l’insegnante di sua figlia per averle detto di rimanere al suo posto? Tutto ciò è normalità. fa parte dei comportamenti che i nostri figli guardano in tv, e non solo quando si tratta di uomini e donne fatti accomodare su troni per gente adirata, «per amore».

SI LITIGA A CASA, si fa a botte in strada e ci si ammazza per niente. La somma di questi comportamenti avviene con consuetudine anche nel nostro parlamento. Il nostro paese è diventato bullo. E se mancano le regole a casa, se si è impossibilitati ad insegnarle a scuola, non si usano più nella prassi politica di un Paese, dove andare a recuperare il senso di un vivere civile e democratico se non a scuola (starei per coniare un hashtag, #senonascuoladove)? Affrontare in tal modo la questione è come «quando cerchiamo di arrivare a discutere delle questioni fondamentali, prima o poi ci ritroviamo seduti intorno al letticciuolo di Socrate, nella prigione di Atene», come sosteneva un uomo, maestro, che nella scuola pubblica italiana ci credeva, Tullio De Mauro.

* Presidente e fondatore coop. soc. «i bambini di Truffaut»