Nella difesa degli equilibri giusti della natura l’arte, in questo caso l’immaginazione letteraria, può giocare un ruolo essenziale. Per la sua carica metaforica dirompente, vale più di cento progetti politici che spesso, almeno nella politica ufficiale, lasciano il tempo che trovano. L’editore Aboca ha messo in piedi una collana necessaria se non originale, Il bosco degli scrittori, in cui, seguendo i principi naturalistici che sono alla base della propria attività editoriale, dà a scrittori qualitativamente interessanti la possibilità di costruire un romanzo, insomma «di raccontare il mondo, il loro e il nostro, proprio a partire da un albero». Di più, assumendo il principio caro ad alcuni scrittori odierni, l’editore pensa che «il genere umano potrà comprendere come il rispetto della natura altro non sia che il rispetto verso se stessi».

Tra le pubblicazioni, si segnalano quelle di Gian Mario Villalta, Enrico Brizzi, Carmine Abate, Luca Doninelli, Antonio Moresco, Giuseppe Lupo, John Fowles. Ultimo in ordine di tempo, l’appena uscito nuovo racconto di uno degli scrittori più stimolanti degli ultimi anni, Lorenzo Marone, autore, tra gli altri, di La tentazione di essere felici (da cui Gianni Amelio trasse il film La tenerezza), La tristezza ha il sonno leggero, La donna degli alberi.

In quest’ultimo libro, Il bosco di là (edizioni Aboca, pagine 136, euro16), l’autore ci porta in un luogo non nominato ma sicuramente uno di quei paesi appenninici dove lo scontro col potere nazifascista fu eroico e violento. È la storia, a mo’ di favola, di Matteuccia, un tempo staffetta partigiana, oggi stralunata vecchina che «il paese considerava stramba». Una persona candida e arresa di fronte alla vita (alla violenza più turpe, in verità) e alle persone che non le hanno riservato l’attenzione che meritava lasciandola andare verso il silenzio e il rifugio nella voce di altri elementi del creato incapaci di farle del male, dal temporale al vento, e il riparo a sognare sotto la grande quercia, nel posto che i compaesani chiamano «il bosco di là».

Una vita emarginata che viene sconvolta dal funerale di Gentile sua intraprendente amica di gioventù (lei invece più timida e impaurita) e grande protagonista della Resistenza – «l’ultima rimasta tra i combattenti della valorosa Brigata di un tempo, senza tener conto di Matteuccia, che quella, poveretta, la vita e le angherie subite l’avevan fatta matta» – che gli uomini seguono nell’ultimo viaggio formale e che invece Matteuccia legge nei suoi risvolti reali: «Non amava i funerali degli uomini, fatti per celebrare la vanità dei viventi, si disse ancora una volta che lei avrebbe compiuto il trapasso sotto la quercia dell’infanzia, raccolta come il cane che sente la fine, e poi si sarebbe incamminata eterea tra i campi, per scavalcare infine l’ultima effimera frontiera e prendere il suo posto nel nuovo mondo, accanto ai cipressi sempre verdi e ai passeri, tra le tombe delle anime piene di sogni irrealizzati».

Un funerale che la sconvolge perché la costringe ad attraversare, con una memoria ritornata dirompente, gli anni giovanili della Resistenza e l’episodio clou di allora: la cattura e l’internamento a Mauthausen di Gentile, la violenza subita da Matteuccia con conseguente incapacità di sottrarsi agli incontri successivi col gerarca nazista. Uno stupro che l’annienterà. Chiuderà per sempre gli incontri con l’umano e si rifugerà candida nei sogni del «bosco di là». Il funerale quindi porta a galla un’altra svolta nella sua vita, è arrivato il momento. Riprende la vecchia bicicletta di quel lontano passato e corre, intontita e forse adesso davvero felice, incontro alla morte.

Bel racconto che sa unificare come pochi, nello stile immaginifico della fiaba, il controverso e dialettico rapporto uomo-natura, le paure che porta con sé dall’una e dall’altra parte, le gioie talvolta amare che può dare, e il desiderio profondo di una riconciliazione dialettica e fruttifera.