Parliamo della criptomoneta, in particolare del suo esemplare più famoso: il Bitcoin. Oggetto misterioso per i più, per alcuni è stato l’avverarsi di un sogno tra i più accarezzati dacché esiste la società e l’economia: poter battere moneta in proprio, aggirando il monopolio statale, facendo a meno di banche ed altri intermediari per le proprie transazioni. Una vera moneta «democratica», scambiata tramite una rete paritaria (peer-to-peer) composta da tanti computer collegati tra di loro (nodi), concepita, teoricamente, per circolare e non per essere tesaurizzata.

Facile a dirsi. Invero, la produzione da sé di criptomoneta, che evoca metaforicamente il lavoro di estrazione nelle miniere (mining), non è certo un gioco alla portata dei comuni mortali.

Molto in sintesi: con cadenza regolare, un algoritmo sforna una serie di scritture cifrate, che si trasformeranno in soldi solo dopo essere state decrittate. Inutile dire che tali operazioni richiedono un’elevata potenza di calcolo, quindi hardware di grosse dimensioni in grado di svilupparla. Più facile acquistarla, scambiandola con la propria moneta. Ci sono apposite piattaforme per questo, basta solo aprire un portafoglio virtuale (wallet), sul quale riceverla. E da cui, ovviamente, possono essere fatti partire i pagamenti, visto che con essa si possono fare acquisti presso negozi online o fisici che l’accettano come mezzo di pagamento (l’Italia è al decimo posto nel mondo), ma anche – e soprattutto, attualmente – attività speculative.

Ma perché, dopo un certo interesse iniziale (il Bitcoin nasce nel 2009), sembrava che la storia di queste monete virtuali fosse già giunta al capolinea? Essenzialmente, per la mancata espansione sul mercato della sua funzione (come mezzo di pagamento), per il crescente controllo della stessa da parte di piccoli gruppi, per varie difficoltà tecniche legate alla gestione degli ipertrofici flussi di informazione, per il suo utilizzo a fini illeciti (riciclaggio, evasione fiscale, commercio internazionale di armi, ecc.).

Poi arriva la svolta. Dall’inizio di quest’anno il Bitcoin ha visto il suo valore passare da 900 a 18 mila dollari, ancorché significative siano le sue oscillazioni di prezzo da un giorno all’altro, ovvero nell’arco di pochi secondi. Benino anche la concorrenza, Ethereum, la criptovaluta creata nel 2014 dal russo Vitalik Buterin, che il primo gennaio era scambiata a poco più di otto dollari, mentre oggi di biglietti verdi ce ne voglio più di 400. Che dire, poi, della nuova arrivata, il Bitcoin cash? Nata da una scissione in seno agli sviluppatori del Bitcoin lo scorso 31 luglio, la sua quotazione oggi supera già i 1400 dollari.

A cosa è dovuta questa nuova attenzione verso le criptovalute? Giocano fattori contingenti ed altri di più lungo respiro. In principio, alcuni cambiamenti di scenario politico, dalla Brexit alle elezioni americane. Sono stati molti gli investitori internazionali, infatti, che nei mesi scorsi hanno scelto alcune criptovalute come beni rifugio, in attesa che la situazione si stabilizzasse. Oggi, soprattutto la ricerca di investimenti più redditizi, stanti i bassi tassi d’interesse mantenuti dalle banche centrali.

Grandi acquirenti i cinesi, che, malgrado le censure ufficiali delle autorità politiche e della stessa Banca centrale, e non da oggi, accarezzano l’idea di una moneta globale non soggetta all’influenza americana. Un’idea balenata con ogni probabilità anche nella testa di Putin, che, proprio recentemente, ha incontrato il suo talentuoso concittadino, il padre di Ethereum, per valutare insieme come la criptomoneta potrebbe risultare utile all’economia russa. Più fattivo il Venezuela, che, per fronteggiare la deriva del bolivar, nei giorni scorsi ha lanciato una sua moneta virtuale, la prima controllata da un governo e garantita dalle risorse minerarie del paese: il Petro.

Sta di fatto che oggi un Bitcoin vale dieci volte un’oncia d’oro. E già si parla di «nuovo oro», con previsioni fantasmagoriche per il futuro: un Bitcoin a 55 mila dollari entro il 2022. Cifre da capogiro, aspettative in rialzo, una bolla che cresce. Pericolo? Per adesso, stando ai volumi in circolazione (305 miliardi di dollari), non si direbbe. Tutto potrebbe cambiare a seguito di un’espansione del mercato e delle decisioni dei governi e delle banche, che potrebbero sdoganare definitivamente questa forma di moneta. Resta un dubbio: quanta criptovaluta costituisce il sottostante di contratti derivati che si scambiano sul mercato? Non è una domanda peregrina: anche da ciò dipende il potenziale di infezione di un’eventuale scoppio della bolla.