Ragionare e intervenire sul processo politico in atto diventa ogni giorno più difficile in questo nostro, sempre più confuso paese. La tentazione di tacere è grandissima, tuttavia, anche tacere mi sembrerebbe fuori luogo. A meno che non si accetti di uscire definitivamente di scena. In mancanza di meglio, perciò, procediamo per punti separati. Può darsi che alla fine, rimettendoli insieme, un senso comune ne scaturisca.

1. Il voto anticipato

Io penso che in questo momento auspicare, e battersi, per il voto anticipato, sia più che sbagliato, criminale.

Si capisce, razionalmente, che lo facciano le destre estreme e il Movimento 5 Stelle: desiderano approfittare della congiuntura favorevole rappresentata dalla clamorosa sconfitta renziana al referendum, cui anche noi abbiamo contribuito (ma non potevamo fare altrimenti). Ma il Pd? Il Pd è trascinato al voto solo perché Renzi sa che molto probabilmente sarà sconfitto, ma ha bisogno di garantire alle sue personali posizioni una consistenza parlamentare sufficiente a garantirgli di traghettare il momento difficile, o quanto meno a non uscire di scena, o per sempre. A lui, s’intende: non al partito, che rischia di andare in frantumi ancor più di quanto non sia già accaduto nei frangenti precedenti.

Poi, per chi lo avesse dimenticato, c’è l’Italia. Può questo nostro sempre più confuso e disgraziato paese consentirsi il lusso di una campagna elettorale a breve termine ancor più violenta e distruttiva di quella passata, rischiando al tempo stesso la più che probabile affermazione della componente politica grillina, con tutto ciò che questo significherebbe sia sul piano interno sia su quello internazionale? La risposta, semplice e inequivocabile, è: no, non può. L’Italia e, persino, il Pd non possono essere messi così facilmente in gioco al solo scopo di salvare quel che resta della carriera politica di Matteo Renzi. Possibile che il (cosiddetto) gruppo dirigente del Pd non ne prenda atto e non ne tragga le conseguenze logiche e necessarie? Arrivare alla scadenza naturale del 2018 attenuerebbe e in taluni casi cancellerebbe gli effetti negativi dei processi in atto, e forse qualche dato più positivo farebbe nascere.

2. La legge elettorale

Il fatto che non ci sia una legge elettorale decente è un argomento in più a favore della tesi sopra sostenuta. Votare con l’Italicum, emendato dalla Corte costituzionale sarebbe anche questo suicida. Incongruenze, contraddizioni, ecc. ecc., ne segnano il testo. Alle molte osservazioni da più parti già avanzate io ne aggiungerei una, cui attribuisco, diversamente da altri, un’importanza estremamente grande, anzi, una valenza quasi simbolica: quella che si riferisce ai capilista bloccati (emendata dalla Corte costituzionale con la misura, un po’ ridicola a dir la verità, dell’estrazione a sorte dell’unico beneficiario). I capilista bloccati, infatti, sono l’espressione più lampante di una concezione della democrazia delegata ai capi e capetti di ogni genere. Io ritengo che tale misura confligga clamorosamente, nella sostanza, con l’art. 67 della Costituzione (appunto), il quale recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni, senza vincolo di mandato». Spiega sapientemente il costituzionalista Ernesto Bettinelli: «In verità la norma costituzionale intende sottolineare che, dopo la competizione, gli ‘eletti’ acquisiscono in Parlamento una posizione esclusiva (status): una nuova dignità…. della quale devono essere consapevoli e meritevoli…». E cioè: sono liberi di pensare, decidere e votare, checché ne dica il loro partito o gruppo di appartenenza. Ma come questo potrebbe correttamente e, diciamo, agevolmente avvenire, se i deputati, invece di essere eletti dal popolo, lo fossero, pressoché direttamente, da un Matteo Renzi o da un Beppe Grilllo?

(A questo proposito, e sia pure marginalmente – ma non tanto – rispetto al discorso principale. Possibile che in nessuna sede, né politica né giudiziaria, sia stata osservata e denunciata la rilevanza penale delle norme che nel Movimento 5 Stelle regolamentano la fedeltà degli eletti al Capo, addirittura con un sistema di multe monetarie da appliccarsi nel caso di una qualsiasi infrazione al comando ricevuto? Se l’art. 67 della Costituzione è ancora in vigore, questo starebbe a significare che le procedure sono assolutamente fuori norma. E allora?).

Una nuova legge elettorale, sensata e coerente, rispettosa il più possibile della libera espressione della volontà popolare, cioè, il più possibile, senza vincoli né premiazioni fuori ogni misura, non si fa in due mesi, soprattutto sotto l’urgenza del voto. Ci vuole tutto il tempo che ci vuole, e ci vuole una saggezza sopra le parti, che per ora non si vede..

3. Le prospettive della sinistra

Poiché sono intervenuto su questo giornale (10 dicembre 2016) anticipatamente rispetto ad altri interlocutori e ad altre formazioni, vorrei tornare su quelle idee, precisarle e se possibile rilanciarle.

Scrivevo in quell’occasione che non c’è prospettiva politica strategica per la sinistra italiana al di fuori di un centro-sinistra di governo. Questo non vuol dire un centro-sinistra in qualsiasi forma e a qualsiasi condizione. Vuol dire, appunto, un’ipotesi strategica da costruire: prospettive, programmi, radicamento sociale e… uomini. Allo stato attuale delle cose Matteo Renzi, per le cose dette più volte, e anche in questo articolo in precedenza, appare non un possibile alleato ma un sicuro avversario (potrebbe cambiare? Altamente improbabile, e poco credibile, se accadesse). Per cui, anche questa volta separando l’uomo dal suo partito, il Pd potrebbe (dovrebbe) stare dentro il disegno di un possibile centro-sinistra soltanto se, com’è auspicabile – l’ho già detto più volte – rientrasse nella sua storica e irrinunciabile prospettiva (non ce n’è un’altra neanche per lui), liquidando la strategia destrorsa e populista del suo attuale leader.

Ma, per la precisione, occorre aggiungere: se si vuole fare un centro-sinistra, ci vuole oltre che un centro serio, orientato a guardare a sinistra, anche una sinistra seria, seriamente orientata a guardare verso il centro. Ripeto e preciso, perché non ci siano equivoci: una sinistra seria, cioè una sinistra-sinistra, seriamente (cioè con argomenti e fermezza di posizioni) orientata a guardare verso il centro. C’è? Non lo so: anche questo si vedrà, se le sarà consentito anche temporalmente di emergere (motivo in più, com’è comprensibile, per gli “altri”, e forse soprattutto per Renzi, per accelerare il più possibile il voto allo scopo di scongiurare questa prospettiva.

Un’ultima osservazione si può ancora fare. E’ un dato di fatto che la rivoluzione neoliberista, degenerata ora in trumpismo e populismo, e in Italia, fra l’altro, nelle fortune sproporzionate di una formazione di chiaro orientamento populistico-reazionario, come il Movimento 5 stelle, ha frantumato quasi dappertutto la sinistra, relegandola ai margini (se si pensa che in Inghilterra i laburisti di Corbyn si apprestano a votare in Parlamento per la Brexit, un brivido ci corre lungo la schiena). E se invece si assumesse come orientamento strategico e propria cultura politica la persuasione che mettere da parte (anche strumentalmente) le divisioni e praticare, anticipatamente rispetto ai tempi storici, l’unità, – l’unità di tutte le forze di sinistra (anche se le vicende più recenti sembrano muoversi nella direzione contraria) – non sarebbe utile questo a formulare in maniera più efficace la strategia e a modellare su quella l’azione?

Illusioni, utopia? Ma anche in questo campo la sinistra appare vistosamente avere dimenticato quanto illusioni e utopia servano, anzi siano necessarie a fare funzionare meglio la pratica, o almeno ne siano indissociabili. Stiamo tutti con il naso rivolto verso il basso a rimuginare la sconfitta. E se, una buona volta, lo volgessimo verso l’alto a guardare cosa c’è, se c’è qualcosa di possibile oltre la nostra sconfitta?