Con l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, ci saranno conseguenza sul bilancio dell’Unione: esce infatti il terzo contributore netto, la Ue perde circa 11 miliardi e dovranno quindi essere fatte delle economie o trovate nuove risorse proprie, al di là dei contributi degli stati membri. Oggi, i capi di stato e di governo aprono al Consiglio la discussione sui finanziamenti della Ue per il settennato che inizia nel 2021. Le posizioni sono ancora distanti, sulle ambizioni e sul livello dei finanziamenti. Si oscilla tra una proposta minima della presidenza finlandese, di dedicare alla Ue tra l’1,03 e l’1,08% del pil europeo e quella della Commissione, 1,11%. Come fare per i nuovi investimenti previsti, come la modernizzazione» (immigrazione, educazione, difesa), le esigenze della lotta al riscaldamento climatico o gli impegni per moltiplicare l’Erasmus?

In ballo c’è la riforma della Pac (politica agricola), la revisione dei fondi di coesione e la delicata questione delle «condizionalità» per ricevere i finanziamenti, prime tra tutte il rispetto dello stato di diritto e la lotta al riscaldamento climatico, su cui si è impegnata chiaramente la nuova Commissione. Ma c’è già un ostacolo tecnico: la nuova Commissione non potrà entrare in azione nei tempi previsti, il 1° novembre prossimo, perché dopo le bocciature dei commissari proposti da Ungheria, Romania e Francia, ci dovranno essere nuove proposte di nomi, analisi di eventuali conflitti di interesse e poi le audizioni al Parlamento europeo. La Commissione di Ursula von der Leyen non potrà essere votata dal Parlamento europeo il 23 ottobre, come previsto e al minimo tutto è rimandato di un mese, per un’entrata in vigore il 1° dicembre. Ursula von der Leyen partecipa al Consiglio, accanto a Jean-Paul Juncker.

In discussione c’è anche l’allargamento della Ue. La Francia frena sull’apertura dei negoziati con la Macedonia del Nord e l’Albania, perché teme campagne interne di rigetto sul modello dell’«idraulico polacco» che aveva preceduto il «no» al referendum sul Trattato costituzionale nel 2005. Ma molti paesi, est in testa, fanno valere che la Ue ha preso degli impegni e che non puo’ rinnegare la parola data, soprattutto in una zona delicata come i Balcani.