La situazione ora si fa preoccupante. Il governo Netanyahu lo ha capito dallo sdegno internazionale causato dalla ferma decisione dell’attrice americana Scarlett Johansson di essere la testimonial dell’azienda israeliana Sodastream con uno stabilimento nella gigantesca colonia di Maaleh Adumin, costruita contro la legge internazionale nei Territori palestinesi occupati. Un nuovo forte campanello d’allarme è scattato l’altro giorno. Il premier e i suoi ministri hanno appreso che il New York Times, giornale storicamente amico di Israele, pubblicherà oggi sull’edizione cartacea un editoriale,“Why Israel Fears the Boycott”, già in rete da due giorni, di Omar Barghouti, intellettuale ed opinionista palestinese, protagonista sulla scena internazionale del Bds. Si tratta di un movimento globale che chiede il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni nei confronti dello Stato di Israele fino a quando non metterà fine alla sua politica di occupazione e negazione dei diritti palestinesi.

Così la prossima settimana l’esecutivo israeliano si riunirà per decidere contromisure alla campagna Bds e alle decisioni prese da imprese private, sindacati e fondi pensione europei di boicottare aziende e banche israeliane che operano o collaborano con le colonie nella Cisgiordania palestinese. Senza dimenticare che l’Unione europea lo scorso anno ha introdotto nuove direttive che vietano qualsiasi forma di cooperazione e finanziamento degli insediamenti colonici.

Netanyahu ha provato, con risultati parziali, a tamponare critiche e decisioni avverse alla politica di colonizzazione praticata dal suo governo. Il boicottaggio però comincia a mordere e ai vertici dell’establishment israeliano è persino emersa una frattura su come rispondere alla campagna Bds. Altro giorno il quotidiano Haaretz riferiva che il ministro degli affari strategici e di intelligence Yuval Steinitz ha proposto l’avvio di una massiccia controffensiva diplomatica contro il Bds e ha elaborato un piano che prevede misure legali contro i gruppi (anche israeliani) che incoraggiano i boicottaggi. Soluzioni scartate dal ministro degli esteri, Avigdor Lieberman, perchè, a suo dire, finirebbero proprio per favorire la campagna di boicottaggio. Da parte sua il ministro delle finanze Yair Lapid ha avvertito che la fine del negoziato con i palestinesi, a causa della colonizzazione, potrebbe rafforzare il Bds e assestare un duro colpo all’economia del Paese. «L’Europa è il nostro mercato principale» ha detto «Un calo del 20 % delle nostre esportazioni (verso il Vecchio Continente) vorrebbe dire 9.800 lavoratori licenziati subito, una caduta del Pil e l’aumento del costo della vita».

In attesa della possibile approvazione della “controffensiva” chiesta da Steinitz, i vertici israeliani lanciano accuse pesanti – persino di “antisemitismo” – a chi pratica o appoggia la campagna di boicottaggio. Accuse alle quali ha risposto Omar Barghouti nel suo editoriale sul NYT: «Il Bds – ha scritto – non costituisce una minaccia esistenziale per Israele, piuttosto pone una seria sfida al sistema israeliano di oppressione del popolo palestinese che è la causa principale del suo isolamento a livello mondiale».