«Io e Salvini ci capiamo al volo, troveremo un accordo su tutto come abbiamo già fatto» dice il vicepremier grillino Luigi Di Maio, cercando di spegnere i riflettori sulle divergenze in seno all’esecutivo a proposito di grandi opere. Ma per il terzo giorno consecutivo ministri grillini e leghisti duellano. L’altro giorno, approdato a Puerto Escondido per festeggiare i suo quarant’anni, Alessandro Di Battista aveva aperto le danze: «Basta occuparsi di immigrazione, torniamo ai nostri temi, fermiamo le grandi opere». Gli aveva risposto dalla rena italica di Milano Marittima Matteo Salvini: «Invidio Di Battista che se ne va in giro per il mondo». E poi: «Le grandi opere si devono fare».

Mentre il ministro Tria prova a mediare tra le richieste contabili dell’Unione europea e quelle politiche di Lega e M5S su flat tax e reddito di cittadinanza, appena le due forze che costituiscono la maggioranza di governo provano a guardare oltre la questione dei migranti che ha tenuto banco in questi primi mesi emergono divergenze apparentemente insanabili. La via per risolvere i conflitti, dicono i contraenti, starebbe nelle clausole del «contratto di governo». Che però notoriamente sulle grandi opere non sono molto chiare. «Ci stanno lavorando i miei esperti», dice il ministro competente Danilo Toninelli. Nei giorni scorsi la ministra del Sud Barbara Lezzi ha fatto la voce grossa sul Tap, ma pare che la visita a Donald Trump del presidente del consiglio Giuseppe Conte sia servita proprio a rassicurare gli americani sulla posizione dell’Italia nello scacchiere della distribuzione energetica, dentro al quale il gasdotto svolge un ruolo chiave. Dunque, sotto la lente dei tecnici del ministero ci sarebbe soprattutto il Tav in Val di Susa. Cedere su quest’ultima per i grillini suonerebbe come una disfatta.

D’oltralpe, dal lato francese dell’Alta velocità, forniscono appigli. Solo una settimana fa il ministro dell’economia di Macron, Bruno La Maire, ha detto di «comprendere i dubbi» e l’esigenza del ministro italiano di voler fare chiarezza per un’opera che solo in parte viene finanziata dall’Ue e che quindi cade sulla tasche dei cittadini. I francesi, in effetti, stanno ripensando la parte di progetto che si sviluppa sul loro territorio, anche se gli aspetti problematici dal punto di vista ambientale sorgono soprattutto in Italia, tra le valli piemontesi.

Conte aspetta che i due leader trovino la quadra e intanto si smarca. Da palazzo Chigi fanno sapere da settimane che la questione non è al centro dell’attenzione immediata del governo. Toninelli dice che l’analisi sull’opera arriverà «entro la fine dell’anno», mentre il presidente della regione Piemonte annuncia una sua analisi costi-benefici perché «quella governativa si annuncia già scritta, visto a quali amici del trasporto su gomma e delle autostrade è stata affidata». Anche Chiamparino, da sempre pasdaran del Tav, sospetta che il punto di caduta sule grandi opere invocato da Di Maio, insista sul Piemonte: «Per tutte le grandi opere che insistono in territori a guida leghista, o per le quali ci sono ordini superiori (si veda quanto accade con la Tap e Trump), l’analisi costi-benefici è stata già fatta: solo per la Tav bisogna contare fino all’ultimo spicciolo, nonostante siano già state fatte sette analisi costi-benefici da diverse agenzie indipendenti, tutte con esito ampiamente positivo».

Parole, quelle di Chiamparino, che sembrano presagire la sua ridiscesa in campo per le prossime elezioni regionali, dopo che aveva lasciato capire di non volersi più candidare per lasciare spazio alle nuove leve. In questo caso, la competizione si giocherebbe tutta sul sì o il no al Tav. Toninelli per la prima volta ammette che quella è la vera partita: «L’unica grande opera che è stata inserita nel contratto di governo è la Torino-Lione: c’è scritto che va ridiscussa in base agli accordi tra Italia e Francia e il sottoscritto sta facendo proprio questo».

Lo stop ai cantieri metterebbe in grande difficoltà la Lega e il suo rapporto con la coalizione di centrodestra. Il sottosegretario leghista Edoardo Rixi ammette l’esigenza di «rivedere i costi e revisionare il progetto» ma rifiuta di prendere in considerazione l’idea di bloccare l’opera. Di Maio smussa: «Non abbiamo un pregiudizio sulle grandi opere -dice – ma spendere 10 miliardi di euro per andare da Torino a Lione quando non riusciamo a spostarci da casa nostra alla scuola di nostro figlio è uno spreco». Da Forza Italia, intanto, Antonio Tajani sfida Salvini invitandolo a sgomberare i centri sociali torinesi, colpevoli di aver partecipato in questi anni alle proteste No Tav. Se l’opposizione alla grande opera in Val di Susa prevalesse e a pagare le spese dell’accordo politico sarebbero proprio alcuni dei più convinti No Tav sarebbe davvero una grande beffa.