Autore di fumetti e graphic novel tradotti in varie lingue, fondatore di due case editrici (Coconino Press e Oblomov), musicista, sceneggiatore, direttore di Linus: queste sono soltanto alcune delle forme nelle quali si esprime il talento multiforme di Igor Tuveri, meglio noto come Igort. L’artista sardo appartiene alla generazione di fumettisti -termine per lui riduttivo- che si sono affermati negli anni Ottanta. La stessa generazione che comprende alcuni dei maggiori talenti italiani, come Stefano Casini (1958), Andrea Pazienza (1956-1988) e Laura Scarpa (1957).

Negli ultimi 30 anni il nome di Igort ha costruito un percorso artistico estremamente vario e stimolante, spaziando dall’Italia alla Russia, dalla Francia al Giappone, come un fiume che scorre e si arricchisce di quello che incontra sul proprio cammino. Nato come musicista, l’artista ha sempre conservato un marcato interesse per la seconda arte, come traspare da alcune delle sue opere.

Negli ultimi anni Igort ha dedicato molta attenzione al mondo sovietico e postsovietico, disegnando un affresco storico-politico di tipo giornalistico che esplora la storia recente e alle sue cause. La prima tappa di questo lungo viaggio è Quaderni ucraini. Memorie dai tempi dell’Urss (Mondadori, 2010).

Il reportage a fumetti, tradotto in varie lingue, è diventato in poco tempo un classico della letteratura disegnata. Valerio Monti gli ha dedicato un ampio saggio accademico (I ‘Quaderni ucraini’ di Igort. Analisi linguistica di un reportage a fumetti, Italiano LinguaDue, 1, 2013, pp. 243-294).

Igort ha trascorso quasi due anni in Ucraina e in Russia, parlando con la gente, raccogliendo le parole delle persone qualunque, toccando con mano le ferite profonde lasciate da 69 anni di dittatura. Il suo lavoro ha un merito enorme, perché è il primo fumetto italiano che racconta l’holodomor, il genocidio per fame col quale Stalin cancellò alcuni milioni di ucraini (1932-1933). Una tragedia che fino a pochi anni fa era nota soltanto a pochi studiosi.

Dopo Quaderni russi. La guerra dimenticata del Caucaso (Mondadori, 2011) e Pagine nomadi. Storie non ufficiali dell’ex Unione Sovietica (Coconino Press, 2012), l’attenzione del disegnatore è tornata a concentrarsi sull’Ucraina. La prima opera del ciclo è stata ristampata col titolo Quaderni ucraini. Le radici del conflitto (Oblomov, 2021), individuando negli eventi narrati l’antefatto di una seconda tragedia, la guerra russo-ucraina in atto. A questa Igort ha dedicato un secondo lavoro, Quaderni ucraini 2. Diario di un’invasione (Oblomov, 2022).

Se il primo volume del dittico ha il merito di essere il primo reportage a fumetti che racconta il genocidio realizzato da Stalin negli anni Trenta, il secondo ci permette di conoscere la tragedia della guerra odierna meglio di tanti dibattiti televisivi che affollano i palinsesti negli ultimi mesi. I quali, come ha scritto l’autore su Linus, finiscono spesso «per raccontare le tifoserie contrapposte», dimenticando che «questa è una guerra, non una partita di calcio».

Le classiche nuvolette non sono scomparse, ma gran parte del testo viene organizzato separatamente, come una lunghissima didascalia che si snoda fra un disegno e l’altro. La scelta dei colori è intonata all’atmosfera: prevalgono il bianco e nero, tinte pastello dal rosa al celeste, mancano i colori sgargianti. I protagonisti sono i comuni cittadini: «Credo che per capire la Storia, con la S maiuscola, bisogna comprenderla partendo dal basso, dal punto di vista delle persone comuni e non da quello degli eroi, dei soldati o dei politici che hanno sempre altri fini» ha detto Igort in una recente intervista al quotidiano «Il Mattino».

Sfila davanti agli occhi una lugubre teoria di nomi geografici ignoti fino a pochi mesi fa. Mariupol, la città che più di ogni altra simboleggia questa guerra, assediata per 82 giorni; Bucha, dove vengono rinvenute fosse comuni con centinaia di cadaveri; Kherson, la prima grande città conquistata dall’esercito russo.
Come nella guerra di Bosnia (1992-1995), dove nomi come Gorazde Srebrenica e Tuzla divennero famosi a causa degli eventi bellici.

Il risultato è un vero e proprio reportage dove narrazione, immagine e dialoghi si coniugano perfettamente, costruendo un’opera insolita e toccante. In modo indiretto, ma certamente non involontario, l’autore di Quaderni ucraini ci ricorda che professarsi europei(sti) senza conoscere la storia tragica che ha segnato l’area ex sovietica è soltanto un esercizio retorico.