Anche collegato a distanza, Silvio Brusaferro manifesta dal video la sua soddisfazione: «Siamo uno dei paesi europei con la più bassa incidenza del virus». I dati che presenta ai giornalisti il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità inducono a una certo ottimismo. L’incidenza è scesa a 29 nuovi casi per centomila abitanti in sette giorni, 5 in meno di una settimana fa. L’indice Rt è risalito appena a 0,85, rimanendo comunque sotto 1: significa che il contagio rallenta ancora. Ma il numero dei decessi (ieri 42) da noi è più alto che in Francia, dove hanno quasi il doppio dei casi. Secondo il microbiologo Andrea Crisanti, che dall’inizio della pandemia è fautore di un tracciamento più attento, è un segnale del fatto che da noi si fanno pochi tamponi e che il numero di nuovi casi è approssimato per difetto.

In realtà da un paio di giorni di tamponi in Italia se ne fanno tantissimi. Ieri sono stati oltre mezzo milione, il record dall’inizio della pandemia. A far schizzare i test verso l’alto non è stato un aumento delle attività di screening o di contact tracing come vorrebbe Crisanti, ma l’obbligo di green pass. Secondo i dati (più aggiornati) ieri sarebbero stati rilasciati addirittura 632 mila green pass attraverso i tamponi antigenici. Troppi per la macchina dei test? «Per ora non si segnalano particolari criticità» afferma serafico Gianni Rezza, dg della prevenzione al ministero della salute. Rimarrebbe da spiegare perché il “piano Crisanti”, che prevedeva di effettuare 400 mila tamponi al giorno per inseguire il virus sul territorio sull’esempio del Veneto, a suo tempo sia stato bocciato dal governo come troppo oneroso.

«Certo, invece di sottoporsi ai tamponi sarebbe meglio che le persone si vaccinino» ammette Rezza, che giudica un successo l’obbligo di green pass. «Ieri si sono inoculate oltre settantamila prime dosi. Un netto aumento delle vaccinazioni che va imputato in gran parte all’obbligo del pass. Da epidemiologo, dico che l’incentivo sta funzionando. Rimane da convincere una fascia di popolazione che non è ideologicamente No Vax e che va ascoltata». Incoraggiante, ma il confronto tra vaccini e tamponi rimane impietoso: nel primo giorno dell’obbligo, per ogni nuovo vaccinato nove persone hanno preferito ottenere il green pass con il tampone.

Il numero di green pass emessi nei prossimi giorni potrebbe aumentare grazie al possibile riconoscimento del vaccino russo Sputnik e dei vaccini cinesi prodotti da Sinovac e Sinopharm. Per questi ultimi due, una soluzione è a portata di mano, essendo stati approvati dall’Oms. Più complicato il caso dello Sputnik. Rezza ha annunciato che l’avvenuta vaccinazione all’estero potrebbe divenire valida ai fini del green pass o, più probabilmente, varrà come esenzione da una nuova vaccinazione. Questa strada è già stata adottata per chi ha partecipato alla sperimentazione del vaccino Reithera e per chi si è vaccinato a San Marino, la cui esenzione è stata prorogata fino al 31 dicembre.

Si sanerebbe così la condizione di lavoratrici e lavoratori stranieri vaccinati con i vaccini russi e cinesi. «Stiamo valutando il da farsi proprio in queste ore con gli altri paesi europei. Per Sputnik la soluzione arriverà nel giro di ore o al massimo giorni, non settimane».

Oltre alla tenuta del sistema diagnostico e alle vaccinazioni in debole ripresa, l’altra buona notizia arriva dalla scuola. Il monitoraggio dell’Iss sulle fasce di età pediatriche mostra che l’inizio dell’anno scolastico non ha provocato un aumento dei casi tra gli alunni non vaccinati tornati in classe in presenza. Anche in questo caso, le fosche previsioni della vigilia sono state smentite.

Tante buone notizie però non sono il segnale di un’emergenza conclusa. Rezza raffredda gli entusiasmi sull’immunità di gregge: «il 70% di popolazione vaccinata andava bene per la variante di Wuhan» spiega. «Quelle nuove sfuggono parzialmente agli anticorpi e l’immunità potrebbe diminuire nel tempo». Quando ne usciremo allora? «Un numero magico dunque non c’è. Se saremo fuori dall’emergenza lo scopriremo sul campo».