La luna di miele sta per finire. Non quella tra il governo e l’elettorato, che anzi stando ai sondaggi sembra più che mai appassionata: quella tra le diverse anime del governo. Il discorso di ieri del ministro Tria è una campana a morto per le ambizioni leghiste e pentastellate sul fronte dell’economia. Si chiamano pudicamente «ministri tecnici», lo stesso Tria e il capo della Farnesina Moavero. In realtà sono ministri in quota Quirinale, messi lì apposta per frenare l’arrembaggio «populista». Nessun problema o quasi fino a che ci si muove su terreni che tutt’al più creano problemi etici come il blocco dei porti. Ma quando si arriva ai quattrini il discorso cambia.

La Flat tax versione Tria c’entra pochissimo con quella vagheggiata dai leghisti e comunque richiederà tempi biblici. Per il reddito di cittadinanza idem. Resta l’intervento sulla Fornero, che non è passato ieri sotto la mannaia di Giovanni Tria solo perché ci ha già pensato la Bce la settimana scorsa, con un bollettino economico che sembrava una pistola puntata alla tempia: «Attenti a toccare le pensioni perché sulla flessibilità vi è già stato concesso troppo». Una formula più che sufficiente per rendere il capitolo proibitivo per Tria, che si accinge appunto a chiedere nuova flessibilità.
A settembre l’anima europeista e quirinalizia del governo arriveranno al momento della verità.

Se su Flat tax e reddito di cittadinanza ce la si può sempre cavare con il rinvio («Sono impegni di legislatura, non si è mai detto che vanno fatti subito») con la Fornero le cose stanno diversamente. Quello è un intervento che o si fa subito o non si fa più. Matteo Salvini e Luigi Di Maio arriveranno al braccio di ferro uniti: a cementare il fronte vale il comune interesse a forzare la mano al ministro del Tesoro. Le cose stanno però diversamente con il premier Conte, tecnico di area 5S, metà Di Maio metà Mattarella, e la scelta del premier, nel confronto duro che si profila, potrebbe rivelarsi determinate.

Ma anche l’idillio tra Carroccio e M5S verrà presto messo alla prova. E’ stato lo stesso Giorgetti ad ammettere che il parto del «Decreto dignità» è stato travagliato e sofferto, e le sofferenze potrebbero moltiplicarsi al momento della conversione del decreto, quando il rischio che passi qualche emendamento che miri a rendere più sostanziose le misure contro il precariato è tanto forte da spingere Tria a parlare per la prima volta, sia pure per esorcizzare l’ipotesi, di possibile ricorso alla fiducia.

A soffiare sul fuoco, comunque ci penserà Forza Italia. Oggi al Senato la capogruppo Anna Maria Bernini presenterà il ddl azzurro per reintrodurre i voucher e ha già detto di aspettarsi l’appoggio senza esitazioni della Lega. Per M5S il boccone sarebbe però amarissimo, dal momento che proprio il Movimento è stato nella scorsa legislatura tra i più decisi nel chiedere e ottenere l’abolizione dei voucher.

La mossa dei berlusconiani non è affatto casuale ed è anzi, al contrario, un assaggio della strategia approntata ad Arcore. Fi mira a far saltare al più presto la maggioranza gialloverde e punta a sostituire i 5S (previa opportuna e già iniziata campagna acquisti) sognando di poter procedere con il beneplacito di Mattarella. Sul fronte nevralgico dei rapporti con l’Europa, come ha sottolineato ancora ieri Tajani rivendicando l’adesione azzurra al Ppe, i forzisti farebbero infatti blocco con i ministri «mattarelliani» molto più di quanto non faccia ora Di Maio.

Lo stato maggiore azzurro è però consapevole che premere su Salvini sarebbe inutile, avendo il leader della Lega tutto l’interesse, almeno per ora, a mantenere gli attuali equilibri. Dunque tenta di incunearsi alimentando e se del caso creando tensioni tra i soci contraenti della maggioranza. Lo farà oggi con i voucher. Lo farà in ogni possibile occasione. Ancora per un po’ la luna di miele reggerà comunque. Ma non per molto.