Chi sono i siriani? Chi sono oggi quegli uomini e quelle donne rimaste in Siria, esiliate in giro per l’Europa, o in attesa di andarsene dal proprio paese? Il fatto è che probabilmente non lo sanno neanche loro. L’esilio siriano (Guerini e associati, pp.190, 18,50 euro), volume curato da Marina Calculli e Shadi Amadi, partendo dall’analisi della condizione di «esiliato», ripercorre la vicenda siriana alla luce delle trasformazioni culturali e politiche non solo della Siria post guerra, ma anche dell’Europa, il luogo di approdo di molti siriani.

TRA LE PAGINE del libro si arriva ben presto al nocciolo della questione: al di là di come la si possa pensare sulla guerra civile siriana, l’invasione americana dell’Iraq è il punto dal quale partire per comprendere l’influenza del Baath sulla questione siriana, così come le politiche degli Assad, l’evoluzione jihadista, arrivando fino al sorgere di populismi e neo-estremismi nazionalisti in Europa. Perché il periplo di eventi e circostanze che si sono venute a creare negli ultimi sei anni in Medio Oriente e in Europa, hanno un punto di origine comune.

NEL PRIMO CAPITOLO del libro, «Semantica dell’esilio: note introduttive», Marina Calculli traccia le linee da seguire partendo dalla confusione semantica utilizzata con molta furbizia dai cosiddetti «neo sovranisti». Sintetizzando, con il termine migrante indichiamo «un individuo che in maniera volontaria si sposta permanentemente o per un tempo sufficientemente lungo da un luogo all’altro», mentre con la parola rifugiato indichiamo «chi scappa da una situazione di conflitto, di potenziale persecuzione o da una catastrofe naturale» Il termine rifugiato ha dunque una sua connotazione politica, riconosciuta dal diritto internazionale della convenzione di Ginevra del 1951, come se il migrante, invece, non dovesse andarsene dal suo luogo originario per scelte politiche ed economiche che lo hanno portato alla necessità di spostarsi, di muoversi.

IN SOSTANZA, dunque, la globalizzazione e il neo liberismo anziché portare a un «rilassamento delle barriere imposte sul movimento di persone (oltre che di beni e capitali)» ha creato «una messa in discussione dei vincoli giuridici che obbligano gli stati a tutelare la vulnerabilità umana più precaria». Questa confusione ha diverse origini: la spinta dei movimenti neo sovranisti, il nuovo nazionalismo europeo, e perfino il comportamento solidaristico nel senso pietistico promosso dal papa, che delega alla volontà quanto dovrebbe essere riconosciuto in modo normativo in un ambito politico come ad esempio quello dell’Unione europea.

TUTTO QUESTO PORTA a un ulteriore passaggio: oltre alla demonizzazione del migrante, abbiamo potuto vedere come lo spostamento dell’attenzione dallo status giuridico abbia portato a concentrarsi sulla presunta identità culturale e religiosa.
«C’è un dato ineludibile e oggettivo che permea il neo-sovranismo e più in generale la nuova retorica conservatrice: è il fondamento liberale delle democrazie occidentali e del diritto internazionale a essere messo profondamente in discussione», ovvero la tendenza «ignorare la vulnerabilità più urgente – quella che riguarda la sopravvivenza dell’individuo – a favore di un utile generico, rappresenta uno scoglio inevitabile contro cui il carattere liberale (almeno quello ostentato) dal mondo occidentale del XXI secolo rischia di arenarsi drammaticamente».
Partendo da queste premesse il volume affonda il colpo sulla questione siriana, intimamente connessa a quella irachena, consentendo al volume di essere letto anche come un’ottima digressione storica sui destini delle popolazioni di quelle aree geografiche, a partire dalla situazione in Siria pre guerra, l’evoluzione politica siriana, il potere degli Assad, la prigione di Palmira e quel confronto tra vincenti e perdenti della globalizzazione, un tema affrontato nel quarto capitolo del volume da Eugenio da Crema.

IN QUESTA PARTE il volume getta uno sguardo decisivo anche sul nostro mondo, quello europeo, specie in un anno di elezioni in Francia, Germania e forse Italia, con formazioni neo sovraniste e populiste date come favorite. Dalla Siria, dalla confusione semantica, si arriva al cuore del problema: un’altra delle conseguenze del passaggio dalle tradizionali divisioni sociali (provocate dalla liberalizzazione finanziaria, dall’automazione e dal capitale fluttuante in grado di mettere in competizioni la forza lavoro di paesi lontani tra loro) alla moderna frattura tra vincenti e perdenti della globalizzazione è, infatti, la progressiva perdita di «capacità rappresentativa» da parte dei partiti politici tradizionali.