Identità in divenire e declinazioni immaginifiche. Di questo si occupa Simon Fujiwara nella personale Who the Bær. Nato a Londra, nel 1982, Fujiwara ha spesso lavorato su frammenti di memoria collettiva, dettagli autobiografici e finzione narrativa. In Welcome to the Hotel Munber (2010) aveva ricostruito il bar dell’hotel in Catalogna dove vivevano i suoi genitori durante la dittatura di Franco, con una rievocazione omoerotica della vita del padre. Nell’opera video Joanne (2016) si era invece occupato della storia di una sua insegnante d’arte coinvolta in uno scandalo, quando le sue fotografie private divennero pubbliche, costringendola a lasciare il lavoro. Un antecedente del film Bad Luck Banging or Loony Porn di Radu Jude.
Con Who the Bær Fujiwara continua l’esplorazione dei processi identitari. E lo fa servendosi di un personaggio di fiction, un ipotetico ors* di cui non sappiamo se è maschio o femmina, in quale paese vive, di cosa si nutre, ancora estremamente incerto sulla sua personalità.

ALLESTITA alla Fondazione Prada di Milano all’interno di un labirinto che ricorda la forma di un orso, la mostra, visitabile fino al 27 settembre, restituisce il suo processo identitario. Il percorso inizia con un grande libro che raccoglie disegni e collage di ors*. Il racconto continua in modo frammentario, Fujiwara disegna su testi accademici che si interrogano sugli stereotipi sociali e su questioni di genere nel cinema d’animazione mainstream, o su eventi di cronaca. Interviene con un segno grafico essenziale e infantile su materiali d’archivio e su fotografie di personaggi mediatici. E il gioco continua, tra sculture in cartone, collage, sculture e animazioni. Anche se il display è giocoso, di memoria dadaista, grazie anche all’utilizzo di materiali poveri come il cartone, il tono è di carattere investigativo.

E A DIFFERENZA di No Ghost Just a Shell, progetto di Pierre Huyghe e Philippe Parreno, che avevano comprato un manga animato chiamato Annlee, che assumeva molteplici identità a seconda degli artisti che l’animavano, nella tradizione del cadavere squisito surrealista, Fujiwara non cerca in alcun modo di caratterizzare il personaggio da lui ideato. Consapevole delle molteplici narrazioni che possono svilupparsi nelle reti sociali e nella mediasfera riflette sul fatto che the Bær non è altro che un’immagine tra le tante presenti nella società dello spettacolo. Ricorda The Waldo Moment, un episodio di Black Mirror, del 2013, in cui un comico fallito che aveva dato la voce a un orso animato, di nome Waldo, viene invitato da alcuni dirigenti televisivi a candidarsi alle elezioni politiche con le sembianze di Waldo. La campagna elettorale prende toni inaspettati e il cartone animato finisce quasi per vincere. Fujiwara gioca con le molteplici, transitorie e cangianti iconografie di «the Bær», identità in divenire su cui continuerà a lavorare anche nel prossimo futuro, nato durante la pandemia, per sottrarsi al consumo di immagini e informazioni presenti nei media, come ha dichiarato l’artista all’inaugurazione della mostra.