Cultura

I versi «scandalosi» di Farrokhzad, cinquant’anni dopo

Poesia A cinquanta anni dalla morte della poeta iraniana Forough Farrokhzad

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 11 febbraio 2017

poetessairaniana

Un corteo percorre il viale del cimitero di Ali Zahir-od-Dowleh, a Darband. Periferia nord di Teheran. È il 15 febbraio 1967; per il calendario persiano, il 26 del mese di Baham, anno 1345. Due giorni prima, Forough Farrokhzad era rimasta vittima di un incidente stradale.

Nata nel 1935 in una famiglia borghese, Forough Farrokhzad a 16 anni – contro il volere dei genitori – aveva sposato il vignettista Parviz Shapur. A 18 aveva già pubblicato Prigioniera, una raccolta di oltre cinquanta poesie. Da quei versi, carichi di sentimento, emergeva l’acerbità dei suoi anni, ma anche la potenza delle parole che presto sarebbero diventate modello per un nuovo stile poetico che avrebbe ispirato la Nouvelle Vague cinematografica di Kiarostami e Makhmalbaf. Ciò che più colpiva l’opinione pubblica iraniana dell’epoca era il contenuto erotico di alcuni suoi componimenti, che le attirò pesanti accuse da parte dei benpensanti e il soprannome di «poetessa del peccato».

GLI ATTRITI CONIUGALI iniziali in materia di gestione familiare si accentueranno con l’arrivo di un figlio, nel 1952. Tre anni dopo Forough Farrokhzad divorziò, perdendo – per la legge iraniana – tutti i diritti della maternità. Questo strappo la fece precipitare in uno stato di depressione profonda, che la costrinse al ricovero in un ospedale psichiatrico. Nel 1956 uscì la raccolta Il Muro, dedicata all’ex marito. In tutto, pubblicò cinque antologie – di cui l’ultima postuma -, alcuni memoriali di viaggio (uno riguarda l’Italia). Scrisse testi per cinema e teatro – universi artistici ai quali si era avvicinata quando conobbe Ebrahim Golestan, regista dell’avanguardia iraniana. La loro relazione fece discutere, ma si trasformò nella sua fortuna cinematografica: nel 1962 realizzerà il documentario, La casa è nera, girato nel lebbrosario di Tabriz, alle porte di Teheran. La pellicola, premiata al Festival Internazionale del Cortometraggio di Oberhausen, si apre sull’immagine allo specchio di una donna deturpata dalla malattia. Il racconto cinematografico è un percorso tra la brutalità e gli orrori della sofferenza.

A CINQUANT’ANNI dalla morte, i giovani di Teheran continuano a ispirarsi alle sue opere, bandite dopo la rivoluzione del ’79 ma ancora vendute nei retrobottega delle librerie della capitale. Condensare la produzione artistica di Farrokhzad in un elenco sarebbe riduttivo: i suoi versi raccontano di una donna in contraddizione con la propria cultura e la propria tradizione; la sua letteratura è l’emblema di una lotta sociale contro logiche ancora fortemente dominate dal maschilismo e dall’oscurantismo religioso. A cavallo tra canone classico e innovazione poetica, Forough rielabora il topos letterario dell’incontro amoroso vissuto come esperienza incompiuta. Rileggerne i versi ci ricorda le sue conquiste: il diritto – e il piacere – di osservare un corpo maschile, il valore dei legami nell’epoca dell’indifferenza.

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