«La politica del governo tedesco ha contribuito in modo determinante all’inasprimento della crisi»: così scrivono i Grünen nel loro programma elettorale per le europee. Angela Merkel è corresponsabile del cattivo stato in cui versa il Vecchio continente: in Germania i Verdi sono rimasti, insieme alla Linke, gli unici a dirlo con chiarezza. I socialdemocratici della Spd hanno smesso di farlo da quando sono alleati dei democristiani (Cdu/Csu) nella grosse Koalition: ora è impossibile ascoltare da Sigmar Gabriel e compagni una critica alla gestione della crisi messa in atto dalla cancelliera negli anni scorsi.

Si è concluso domenica, a Dresda, il congresso in cui gli ecologisti hanno varato il programma e le liste per l’appuntamento con le urne del 25 maggio: il messaggio politico emerso dalle assise è di opposizione netta nei confronti della linea dell’austerità seguita sino ad ora sia dalle istituzioni comunitarie sia dai governi nazionali. Quella dei «risparmi» ad ogni costo è una risposta sbagliata ad una crisi generata, secondo i Verdi, da «un modello di sviluppo insostenibile», fondato sulla deregolamentazione finanziaria e dai disequilibri nelle bilance commerciali fra i Paesi dell’Unione.

Il governo tedesco sbaglia a sostenere che la crisi dell’Euro sia essenzialmente dovuta ai debiti eccessivi della cosiddetta periferia: «Paesi come l’Irlanda e la Spagna avevano un rapporto debito/pil decisamente inferiore a quello della Germania. Nel corso della crisi finanziaria entrambi i Paesi sono stati costretti ad aumentare il loro debito per salvare, con miliardi di aiuti, le banche». Contro la falsificazione moralistica tanto cara a Merkel e alle élite liberalconservatrici – «gli stati-cicala hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità» –, gli ecologisti evidenziano i difetti della costruzione di una moneta comune senza una politica economica coordinata a livello continentale, riconoscendo come la Germania abbia «tratto enormemente profitto dall’euro».

Moneta unica che secondo i Grünen occorre mantenere, perché un ritorno alle divise nazionali – vagheggiato dagli eurofobi di Alternative für Deutschland (al 6% nei sondaggi) – avrebbe conseguenze negative anche per l’economia tedesca. Servono, dunque, i meccanismi «salva-euro» approntati negli ultimi anni, ma non vanno bene «le condizioni antisociali delle misure di salvataggio»: quelle «controprestazioni» fatte di tagli e «riforme» imposte da Merkel a tutti gli stati beneficiari di «aiuti». Ciò che va chiesto a questi Paesi in cambio dei soldi europei, dicono i Verdi, non sono «riforme» neoliberali, ma regolamentazioni del settore bancario, miglioramento del sistema fiscale, lotta alla corruzione, riduzione delle spese militari. Inoltre, vanno messi in un fondo comune europeo di ammortamento le quote di debito eccessivo (oltre il 60% sul pil) dei Paesi in crisi, in modo che i costi del suo rifinanziamento siano calmierati.

Dal congresso di Dresda fortissime critiche anche nei confronti del deficit democratico nella gestione della crisi e, in generale, nella vita dell’Ue: ultimo esempio, i negoziati sul trattato di libero scambio con gli Usa (Ttip), che avvengono in gran segreto. Il contrasto al potere delle lobby economiche che spadroneggiano a Bruxelles è stato al centro dell’intervento di Sven Giegold, eletto capolista insieme a Rebecca Harms. Giegold, eurodeputato uscente ed ex portavoce di Attac Germania, si è imposto nel voto dei delegati sul moderato Reinhard Bütikofer: un’importante vittoria per la corrente di sinistra del partito, rimasta orfana dei suoi principali leader dopo le elezioni di settembre. I sondaggi più recenti attribuiscono ai Grünen un confortevole 10%: meglio delle ultime politiche (8,4%), ma 2 punti in meno rispetto alle europee del 2009.