Nessuno nel governo o tra i leader della maggioranza lo ammetterebbe mai in pubblico, ma quelli che spirano sempre sempre più gelidi sono venti di crisi. La nota informale diffusa ieri sera da Iv non lascia dubbi: «Non c’è accordo sulle riforme istituzionali, non c’è sul Mes e sulla riforma del fisco. Stiamo rischiando di perdere tempo senza arrivare ad alcun risultato». E poi, durissimo: «Il governo continua a far solo finta di coinvolgere i gruppi parlamentari».

Non è una voce isolata: solo la più alta. Ma il disagio e l’intenzione di ottenere a tutti i costi una modifica significativa, forse radicale, negli equilibri e negli indirizzi di governo è altrettanto diffuso in mezzo Pd e lambisce lo stesso segretario. Non ne è esente neppure il M5S, più che mai diviso. Una simile offensiva non sarebbe possibile senza la convinzione che comunque le elezioni anticipate non ci saranno e le spallate porteranno a un nuovo governo Conte molto «rimpastato» o a un altro esecutivo. È una sicurezza che fa i conti senza l’oste del Colle. Mattarella assiste allo spettacolo con irritazione e sbigottimento.

È deciso, se si arriverà alla deflagrazione, a non concedere alcuna copertura. Se ci sarà crisi sarà rapidissima: pochi giorni, passati i quali o i partiti gli porteranno una soluzione alternativa certa e non ipotetica oppure scioglierà le Camere. Lo ha fatto capire ai leader della maggioranza. I quali, molto semplicemente, non ci credono. Così la tempesta di una crisi al buio continua a montare, senza che nessuno ammetta di volerla ma anche senza che nessuno faccia niente per evitarla.

La bomba che potrebbe far esplodere l’edificio del governo è la riforma del Mes. «Non drammatizziamo, si voteranno solo delle risoluzioni» cerca di stemperare Conte, forse con l’intenzione di rinviare a gennaio il voto decisivo. Ipotesi che manderebbe su tutte le furie il Pd.

Oggi si svolgerà l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari 5S, passaggio cruciale per verificare la possibilità di riportare all’ovile la maggioranza dei dissidenti. Le possibilità di trovare una mediazione nella Risoluzione di maggioranza sono poche. Il viceministro Sileri ha chiesto di nuovo, come aveva fatto Di Maio, di impegnarsi a non chiedere il prestito del Mes: «Nessun veto alla riforma ma con la garanzia che non attingeremo ai fondi anti Covid», azzarda Sileri. La replica arriva dal presidente della commissione Politiche Ue del Senato Stefàno, Pd, sotto forma di domanda retorica: «E’ una garanzia che possiamo dare?». La risposta è ovvia. Non si può chiedere al Pd e a Iv di votare contro l’accesso al prestito per il quale si battono da mesi.

Resta solo la marcatura a uomo. Con un argomento unico e convincente: agitare il rischio, reale, di una crisi di governo. Con tanto di elezioni anticipate ed esclusione dal parlamento. Qualche risultato lo ha portato. Ieri anche il senatore ed ex ministro Toninelli, il più noto tra i presunti firmatari della minaccia di non votare la riforma del Mes se non sarà accorpata con l’Unione bancaria e le garanzie sui depositi bancari ha giurato di non aver mai apposto quella firma. Ma al momento il recupero è ancora lontano dall’aver messo in sicurezza il governo.

Resta anche la speranza nella rivolta di Fi. C’è e coinvolge nomi pesanti: Renato Brunetta, la cui esposizione contro la scelta di Berlusconi pare abbia irritato parecchio il Cavaliere, Renata Polverini. Il gruppo al Senato si riunirà mercoledì, a ridosso del voto ma la presidente Bernini è schierata senza margini di esitazione con Berlusconi. Anche qui, per ora, le defezioni certe non bastano a mettere in sicurezza il governo.

Alla fine in qualche modo probabilmente il governo si salverà. Ma il Mes non è tutto: è solo il guaio più urgente. Il nodo che rischia di diventare scorsoio è una sfilacciatura della maggioranza alla quale i leader politici, se fossero davvero tali, si preoccuperebbero di porre riparo subito.