La “guerra dei Pfas” tracima oltre i confini del Veneto. E diventa istituzionale, politica, ma soprattutto sui risarcimenti. Le sostanze perfluoro alchiliche (Pfas) hanno già avvelenato il sangue di più di 250 mila residenti in 79 Comuni fra le province di Verona, Vicenza e Padova. E come certificato dalla relazione dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Treviso fin dal 1990 la Miteni Spa a Trissino inquinava il suolo nell’impianto e il vicino torrente Poscola.

«Chi paga?», si domanda il rapporto di Greenpeace (presentato ieri mattina in sala San Leonardo a Cannaregio) firmato da Vincent Kiezebrink dell’istituto indipendente Somo di Amsterdam in collaborazione con  Merian Research di Berlino. «I dati indicano che Miteni versa in una situazione finanziaria estremamente difficile. Pare escluso che, se condannata, possa risanare il territorio e risarcire i cittadini per i danni sanitari e ambientali», commenta Giuseppe Ungherese di Greenpeace.

Negli ultimi mesi, il «caso Pfas» ha assunto dimensioni nazionali. Il 18 maggio e poi il 23 agosto il ministero dell’Ambiente sollecita un piano di monitoraggio in ogni Regione. Ma il recente atto firmato da Raniero Guerra (direttore generale della prevenzione sanitaria al ministero della salute) sembrerebbe circoscrivere l’emergenza al solo Veneto senza fissare «limiti di performance nazionali».

Di qui la feroce polemica politica. «Dallo studio del Cnr forme d’inquinamento di questo tipo sono state rilevate, in concentrazioni più alte, nelle aree industriali del Bormida e nel Bacino del Lambro. Se l’impianto fluorochimico di Trissino è la maggior sorgente individuata, un’altra è l’area della concia di Santa Croce sull’Arno. Interessata è, di fatto, l’intera asta del Po. E per i Pfas, Trissino è in compagnia degli impianti chimici piemontesi di Spinetta Marengo», tuona l’assessore regionale all’ambiente Giampaolo Bottacin.

Gli 80 milioni annunciati dal governo? A palazzo Balbi non c’è traccia. Così il governatore Luca Zaia si scatena: «È scandaloso l’atteggiamento del ministero della salute. Da questo momento ci arrangiamo e, in piena autonomia, procederemo alla drastica riduzione dei limiti. Ho incaricato perciò il direttore generale di Arpav, Nicola Dell’Acqua: la giunta approverà al più presto i limiti, dando agli acquedotti l’indicazione di uniformarsi alle nuove disposizioni».

Beatrice Lorenzin replica a stretto giro d’agenzie: «Mi sorprende che Zaia dica che il governo non agisce. Siamo intervenuti con l’Istituto superiore di sanità e non solo abbiamo individuato il problema qualche anno fa, ma abbiamo invitato la Regione Veneto a procedere e arginare quello che è un fenomeno ad altissimo rischio per tutta la popolazione. Facciamo tutto ciò che va fatto».

Ma la “guerra dei Pfas” rivela contorni imbarazzanti. Giusto una settimana fa la Commissione parlamentare ecomafie (presieduta da Alessandro Bratti) era in sopralluogo a Trissino. Poi nella prefettura di Vicenza sono sfilati esperti e autorità. Compreso il procuratore Antonino Cappelleri. A verbale si legge: «I comitati locali lamentano ritardi giudiziari? Sono molto coinvolti sul piano emotivo e forse non colgono le oggettive difficoltà del rito penale, che esige certezze». Gli uffici giudiziari di Borgo Berga sono gli stessi che “emotivamente” non hanno dato grandi soddisfazioni ai soci della Banca Popolare presieduta da Gianni Zonin.

Per i Pfas, spunta un’altra famiglia di imprenditori. È nel 1965 che a Trissino comincia la produzione chimica: con Ricerche Marzotto, che ha bisogno di impermeabilizzare tessuti e cuoio. Miteni nasce nel 1988, quando l’impianto passa sotto il controllo di Enichem e Mitsubishi. Infine, nel 2009 l’azienda vicentina entra nel portafoglio di International chemical investors group, attivata cinque anni prima dai tedeschi Achim Riemann e Patrick Schnitzer in grado di acquisire 26 imprese nell’arco di una dozzina d’anni.

È stato ormai acclarato che dal 1990 fino al 2009 venivano effettuate indagini sul sito produttivo, con cui l’azienda di Trissino puntava a circoscrivere la contaminazione da Pfas. Ma l’inquinamento scorreva insieme all’acqua: dal torrente fino all’intero bacino del Fratta-Gorzone con inevitabili conseguenze per chi dal rubinetto sorseggiava tossicità.

Studi, indagini, ricerche epidemiologiche hanno così certificato una clamorosa e inquietante “emergenza Pfas” in mezzo Veneto. Il biomonitoraggio condotto nel 2015-2016 su 507 soggetti residenti dentro e fuori l’«area rossa». Gli esposti al Pfas hanno una concentrazione media nel sangue di 13 nanogrammi per grammo, rispetto all’1,6 di chi è fuori dalla contaminazione. E in primavera è scattato lo screening della Regione che ha stanziato 3,4 milioni: un monitoraggio biennale su circa 30 mila residenti del Vicentino, 6 mila del Padovano e 48 mila del Veronese.