Veleni ovunque. 259 i pesticidi ritrovati nelle acque italiane e 400 quelli ricercati. L’erbicida con il maggior numero di superamenti è proprio il glifosate e il suo metabolita Ampa, prorogato dall’Ue per altri 5 anni anche se classificato dallo IARC potenzialmente cancerogeno per l’uomo. A presentare questi numeri è stato pochi giorni fa l’Ispra (l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale), nel suo Rapporto Pesticidi nelle Acque, contenente i risultati del monitoraggio relativi al biennio 2015-2016. Secondo l’Istituto nel 2016 entrambe le sostanze sono risultate superiori agli standard di qualità ambientale per le acque previsti dalla norma rispettivamente nel 24,5% e nel 47,8% dei siti.

Un’ulteriore preoccupazione arriva dal fatto che nonostante il notevole incremento dell’attività di monitoraggio e l’evoluzione dei metodi analitici, le sostanze responsabili della maggior parte dei superamenti normativi (come il glifosate e l’Ampa, l’Atrazina-desetildesisopropil o il metolachlor Esa, per citare alcuni esempi) non sono ricercate omogeneamente sul territorio nazionale facendo presupporre una presenza ancor più massiccia.

Inquietante tanta presenza di atrazina, un diserbante famigerato per aver inquinato le acque padane e per questo revocato dall’Ue nel 2004, che dimostra che se si interrompesse oggi l’uso dissennato di pesticidi, continueremmo a contabilizzare i danni per altri decenni.
Parliamo dunque di sostanze tossiche che sono ancora riscontrate in grandi quantità a causa di un modello produttivo da cui l’intero sistema fatica a separarsi. E tutto ciò in netta controtendenza rispetto agli obiettivi della PAC e alla richiesta sempre più alta da parte dei consumatori di prodotti che non siano dannosi per la salute e per l’ambiente.

E parliamo di dati che confermano un pericoloso trend di crescita dei pesticidi nelle acque che dal 2007 è più che raddoppiato, nonostante la PAC e i PSR abbiano premiato le aziende per una diminuzione di impatto ambientale che non c’è stato aprendo un enorme interrogativo sui controlli.

Insomma, ormai non ci sono più dubbi sul fatto che il sistema convenzionale è insostenibile. Dati scientifici, ricerche mediche, report allarmanti. Cos’altro serve per dimostrarlo? A tutto ciò si aggiunge il fallimento sia del Piano d’Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei fitofarmaci, sia dei PSR che, come evidenziano i dati ISPRA, continuano a premiare un’agricoltura pericolosa e senza scrupoli. Per non parlare del ritardo che dimostrano le associazioni di categoria nell’adeguarsi ai nuovi obiettivi e nel ragionare su un modello innovativo di premio.

Dall’altra parte della barricata (ma sarà davvero dall’altra parte?) c’è un biologico che corre sempre più veloce verso l’industrializzazione portando con sé uno svuotamento dei suoi valori fondanti e il grave rischio della perdita di fiducia da parte dei consumatori. Bisogna abbandonare le reticenze ad affrontare il problema e non bisogna smettere di credere che un biologico vero e alla portata di tutti è possibile. L’impegno e la fatica di decine di migliaia di piccole aziende italiane lo dimostra quotidianamente.