La stagione che va dal 1945 al 1948 segna indubbiamente uno dei vertici del cinema italiano, soprattutto perché mai come in questo momento i film si incaricano di raccontare la nostra società, fotografando un passaggio epocale come quello dalla dittatura alla democrazia. I capolavori del Neorealismo fungono all’estero da ambasciatori di questa nuova Italia, tratteggiando con la loro poesia l’immagine di un popolo in cerca di un riscatto morale e sociale, ma ci sono molti altri film, anche minori, che fotografano a modo loro questo delicato processo di ricostruzione. Proprio in questa prospettiva si colloca la collaborazione fra Michal Waszynski e Vittorio Cottafavi, articolata in tre film quanto mai oscuri e dimenticati, di cui soltanto oggi, nel 2015, siamo finalmente in grado di apprezzare pienamente la ricchezza. La grande strada (1946), conosciuto anche con il sottotitolo di L’Odissea di Montecassino, nasce dall’esperienza documentaristica di Waszynski, che al seguito dell’Armata polacca aveva filmato le varie fasi della guerra in Iran, Egitto e Italia. Partendo da questo materiale prezioso, il film rievoca attraverso una struttura a flashback l’odissea del giovane soldato Adam, ferito agli occhi e assistito da un’infermiera che, per alleviare le sue pene, accetta di fingersi la sua fidanzata. L’edizione polacca del film, con un finale diverso rispetto a quello italiano, collega già il percorso dei protagonisti alla ricostruzione della Polonia, sottolineando il carattere anche utopico che attraversa l’intera trilogia. Lo sconosciuto di San Marino, girato a cavallo fra il 1946 e il 1947, è basato su un soggetto di Cesare Zavattini, che sviluppa temi cari tanto a Waszynski quanto a Cottafavi. Un misterioso personaggio senza memoria, interpretato dal mimo Aurel Millos, appare d’un tratto in mezzo alle macerie della guerra, portando un messaggio di amore e di pace. Questa figura cristologica, in cui Waszynski per certi versi sembra quasi immedesimarsi, sarà però costretta nel finale a recuperare la memoria, facendo quindi i conti con le proprie responsabilità durante la guerra. Completamente frainteso al momento dell’uscita nelle sale, il film ci appare oggi come un piccolo capolavoro, soprattutto per la sua schiettezza nell’interrogarsi filosoficamente sulla possibilità di una ricostruzione morale dopo l’orrore dell’Olocausto. Fiamme sul mare, girato nell’autunno 1947, chiude questa ideale trilogia raccontando proprio il difficile cammino della nuova Europa verso la democrazia. Un film che ci restituisce il faticoso risveglio della democrazia italiana, alla ricerca di nuovi modelli cinematografici che interpretino lo spirito dei tempi.