È finito con un accordo il braccio di ferro tra medici e governo sui tamponi rapidi. Il governo chiede che i medici di famiglia eseguano i tamponi antigenici, per alleggerire le Asl oberate. I medici di base, invece, volevano che l’operazione avvenisse su base volontaria perché non tutti gli studi sono attrezzati per questo tipo di operazioni. In serata il governo ha raggiunto il suo obiettivo, ma l’intesa è soprattutto un’operazione di facciata.

L’accordo è stato firmato tra governo e un’unica sigla sindacale e prevede che i medici siano obbligati a eseguire i tamponi, ma l’obbligo rimane sulla carta. I medici, infatti, potranno fare il tampone nel proprio studio (per un compenso di 18 euro a test) o in locali esterni predisposti dalle Asl (in cambio di 12 euro a tampone). Basterà però che il medico dichiari inadatto il proprio studio all’esecuzione del tampone perché tocchi alle istituzioni sanitarie collocare i medici, operazione non facile con le Asl già sovraccariche di lavoro. D’altronde è altamente sconsigliabile che i tamponi siano effettuati negli studi medici: senza spazi e personale adeguato, accogliere persone in attesa di test insieme agli altri assistiti può generare focolai sia tra medici e pazienti. L’obiezione è condivisa da tutti i sindacati di medici tranne la Fimmg, che però è largamente maggioritaria ed è l’unica che ha firmato.

Come spiega il segretario della Fp Cgil medici Andrea Filippi, «i 30 milioni stanziati per i test nel decreto “Ristori”, divisi per i 53 mila medici di medicina generale, corrispondono a circa 40 test a medico». In sostanza, il contributo dei medici di famiglia alla macchina diagnostica si limiterà a meno di un tampone al giorno. Una goccia nel mare che rischia perfino di andare sprecata perché in realtà ciò che manca è l’indagine epidemiologica che dovrebbe partire dopo il risultato del test.

I tamponi antigenici rischiano di rivelarsi un flop anche perché la loro efficacia è inferiore a quanto sbandierato dal commissario straordinario Domenico Arcuri, la cui struttura fornirà i kit. Il bando predisposto da Arcuri prevedeva l’acquisto di 5 milioni di test antigenici rapidi ad alta precisione, capaci di generare meno del 15% di falsi negativi – persone negative che però con un tampone molecolare più accurato risulterebbero contagiate – e del 2% di falsi positivi. Mentre i falsi positivi vengono in gran parte svelati dal tampone molecolare di conferma, i falsi negativi sono più pericolosi perché si tratta di persone potenzialmente contagiose che non sanno di esserlo.

Il bando per l’acquisto dei test si è concluso pochi giorni fa: l’appalto è andato alla sudcoreana Rapigen. Secondo i dati dichiarati dall’azienda, il test Rapigen soddisfa i requisiti posti da Arcuri, e anzi produrrebbe solo un 8% di falsi negativi. Peccato che le analisi indipendenti svolte sul test diano risultati un po’ diversi. Uno studio della collaborazione Cochrane, un network di ricercatori indipendenti che analizza test e terapie sulla base delle evidenze scientifiche più solide a disposizione, rivela che il test acquistato da Arcuri rispetta o quasi la sensibilità richiesta nel caso di alte cariche virali, ma produce il 38% di falsi negativi nella casistica generale. In una ricerca successiva a quella della Cochrane, compiuta dal ministero della salute cinese e pubblicata sul Journal of clinical virology, la percentuale di falsi negativi sfiora il 100% se si escludono i campioni con carica virale elevata, gli unici presi in considerazione dal bando di Arcuri. In queste condizioni, l’esecuzione di test antigenici a scopo diagnostico può rivelarsi controproducente: l’errata sicurezza derivante da un risultato falso negativo potrebbe infatti incoraggiare comportamenti imprudenti e facilitare il contagio invece di frenarlo.