erevoli attestati di fiducia nei vaccini per il Covid-19 – l’ultimo quello del presidente dell’Iss, massima autorità sanitaria del nostro paese – sembra che una consistente fetta di popolazione italiana non sia altrettanto convinta. Se non si vuole addebitare questo deficit di fiducia alla propaganda No-vax o all’anti «scientismo» (ma c’è da scommettere che qualcuno lo farà), bisognerà pur prendere atto che qualcosa non ha funzionato nella comunicazione scientifico-istituzionale che ci ha fin qui accompagnato.

Dall’inizio della pandemia, allorquando si faceva riferimento ai vaccini, se ne pronosticava la messa a punto (e quindi l’impiego) tra la primavera e l’autunno del 2021. L’aver anticipato di molto la loro realizzazione non può essere spiegato solo come un successo della ricerca sui vaccini (peraltro sempre definita lunga e laboriosa), ma si dovrebbe onestamente dire che ciò è stato possibile anche perché si è derogato dalle procedure standard che sovrintendono alla loro autorizzazione, sia in Europa che negli Usa.

L’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha compresso i tempi generali dell’istruttoria sui vaccini Covid 19, arrivando a ridurre di 10 volte il tempo a sua disposizione per esprimere un parere (da 210 giorni a 20 giorni, delibera Ema /213341/2020), a partire dalla richiesta formale di autorizzazione da parte della casa farmaceutica. Si tratta di una «autorizzazione condizionata» (regolamento CE 507/2006) concepita per accelerare l’immissione sul mercato di medicinali destinati al trattamento di malattie gravemente invalidanti o potenzialmente letali, o i medicinali da utilizzare in situazioni di emergenza, che però non include espressamente i vaccini.

Questa autorizzazione è concessa per un anno e può essere rilasciata anche se i dati scientifici presentati sono incompleti rispetto, purché la casa farmaceutica li fornisca successivamente e si impegni ad eseguire una «farmaco vigilanza». Ad esempio molti dei vaccini in esame non sono stati testati sui minori di 18 anni e sulle donne incinte, né sono state indicate le eventuali reazioni avverse a medio-lungo termine perché non ce n’è stato il tempo. Di qui una serie di domande ispirate al principio di precauzione: come è possibile ottenere l’evidenza scientifica (non un attestato di fiducia) dell’efficacia e sicurezza se i dati presentati risultano incompleti?

E come è possibile validare un vaccino in un tempo massimo di 20 giorni quando, in condizioni normali, ce ne sarebbero voluti 210? Ma soprattutto come si può applicare ad un vaccino una procedura concepita principalmente per un farmaco dato che, mentre quest’ultimo è finalizzato alla cura di persone malate (e in numero comunque circoscritto), il vaccino è destinato ad un impiego di massa su persone sane?

La Commissione europea risponde affermando che se l’autorizzazione condizionata al vaccino viene rilasciata, significa che la valutazione complessiva del rapporto rischi-benefici è a favore di questi ultimi. Dunque il criterio del rischio/beneficio fa agio sul principio di precauzione come tante volte si è verificato in altri ambiti di decisione, per poi rivelarsi un assunto quantomeno «viziato» da interessi altri. Qui si innesta un altro aspetto poco noto delle procedure autorizzative in corso.

Negli Usa, contestualmente all’attivazione della procedura di emergenza, è entrato in vigore il Readiness and Emergency Preparedness Act in base al quale tutte le persone coinvolte nelle attività di sviluppo, commercializzazione, autorizzazione e somministrazione di un vaccino sono esenti da responsabilità civile per danni causati dal vaccino o anche da malattie indotte dal vaccino.

Analogo provvedimento è stato preso in sede europea dove, tra l’altro, la non perseguibilità è espressamente prevista come clausola contrattuale dalle case farmaceutiche. In pratica siamo all’«Immunità della corona» in versione pandemia dove i rischi sono tutti a carico dei sudditi e i benefici sono ancora da dimostrare. Se la corsa al vaccino (e alla vaccinazione) è la conditio sine qua non per tornare alla «normalità», allora c’è un motivo in più per essere cauti e chiedersi se non sia il caso di prendere tempo, avere maggiori riscontri sui vaccini e fare quello che non si è fatto finora: piani pandemici, corridoi sanitari, medicina territoriale.