L’abito è rosso, lungo e fasciante. Il rossetto è in tono. La danzatrice, italiana, ha i capelli scuri, ricci. In scena c’è soltanto una sedia nera, eppure lei, parlando, ballando, attraversando con inconfondibile brio palcoscenici internazionali tra Argentina e Portogallo, Italia e Germania, Francia e Cile, fa rinascere dal 2010 in Moving with Pina vent’anni con il Tanztheater Wuppertal e con Pina Bausch. È Cristiana Morganti, una delle storiche protagoniste italiane del mondo Bausch, in compagnia dal 1993 al 2014. Oggi coreografa con una sua luminosa cifra indipendente, basti pensare all’incandescente duetto A Fury Tale, Morganti da quasi dieci anni porta il pubblico in Moving with Pina dentro una storia vissuta, amata, che tocca l’interiorità dei vecchi fans come dei giovani neofiti del Tanztheater.

Lo spettacolo, appena passato dal Napoli Teatro Festival Italia, è fino a domani sera al Théâtre des Abbesses di Parigi nella stagione del Théâtre de la Ville nell’ambito di un omaggio a Bausch che prevede i più recenti titoli del Tanztheater Wuppertal affidati a coreografi esterni, Bon Voyage, Bob di Alan Lucien Øyen e Since she di Dimitris Papaioannou, conferenze, eventi, proiezioni.
«Dal 2010 Moving with Pina è cambiato solo leggermente» spiega Cristiana «anche se facendolo non più solo in italiano, ma anche in tedesco e in francese, ho dovuto fissarlo senza lasciare più nulla all’improvvisazione. La reazione del pubblico nelle prime repliche era molto emotiva a causa delle recente scomparsa di Pina, oggi lo è meno, ma mi colpisce sempre come lo spettacolo riesca a arrivare anche a persone che non hanno mai visto nulla del Tanztheater Wuppertal. Sono però cambiata io in questi dieci anni, non solo fisicamente (ride, ndr.). Sento che per me si sta chiudendo un ciclo. Non sento più la stessa necessità di raccontare la mia esperienza con Pina come avevo dieci anni fa. Ho bisogno di staccarmi da quel bellissimo passato. Potrei fare questa conferenza danzata fino ai miei sessant’anni, ma la prossima stagione sarà l’ultima. Novembre al Comunale di Ferrara, qualche altra piazza nel 2020 e poi basta. Sento l’esigenza di concentrarmi sulle mie creazioni»

La prossima, di cui il titolo è ancora da definire, debutterà il 14 e 15 dicembre al San Ferdinando di Napoli per Napoli Teatro Festival Italia (il primo di una lunga serie di coproduttori italiani e non). La creazione fa parte come Moving with Pina di Progetto Bausch promosso dalla Fondazione Campania dei Festival nel NTFI. «Siamo nella fase magmatica, il tema iniziale è quello della circolarità del cerchio, ma anche il circolo vizioso, il club, vedremo se si svilupperanno altri argomenti. Sono felice del cast che ho scelto, due danzatori sono italiani, Antonio Montanile e Maria Giovanna delle Donne, che ha studiato a Essen, la tedesca Anna Fingerhuth, con me già in A Fury Tale, la francese Justine Lebas, che avevo incontrato al Conservatorio di Parigi, l’olandese Damiaan Veens. Personalità diversissime».

Uscire dal Tanztheater significa anche confrontarsi a distanza con un’eredità importante. «Ci sono alcune cose del lavoro di Pina che continuano a risuonare in me. Come per lei gli interpreti sono fondamentali, senza il loro feedback, le loro risposte alle proposte, non potrei creare un pezzo di gruppo. Da Pina mi è restato il desiderio di stabilire un contatto con il pubblico e la volontà di non essere pedagogici negli spettacoli. Lasciare agli spettatori le loro fantasie, non voler far passare dei messaggi, esprimere un universo, senza la volontà di spiegarlo. Pina era una grandissima danzatrice, una creatrice che ha sviluppato in noi un modo speciale di vedere le cose. Te ne accorgi quando inizi a insegnare e ancor più quando cominci a firmare delle creazioni. E poi i tempi, la cura del gesto… Sono andata a vedere la ripresa del suo Macbeth a Wuppertal. Uno spettacolo dai tempi lunghissimi nella prima parte che ti portano però a un finale straordinario dove tutto si accelera e prende senso con una coerenza stupefacente. Era una danzatrice che aveva la capacità di lavorare su dettagli di movimento piccolissimi che cambiano tutto. Penso a quelle mani puntate in pancia delle donne di Viktor, così espressive, e a una frase meravigliosa che ci diceva sempre: “quando correte, correte dal petto, perché lì c’è l’emozione, c’è il respiro e se danzi dalle emozioni, se il petto è abitato dal respiro, il pubblico guarderà lì e lo sentirà”. Ed è qualcosa che ci connette con le persone che ballano e che, se compreso, fa la differenza in ogni danzatore».