In confronto, la vertenza dell’Ast di Terni sembra uno zuccherino. Perché dopo averlo annunciato in lungo e in largo, Trw ha confermato anche al Mise di voler chiudere il suo stabilimento livornese a fine anno. Per poi smantellare i macchinari nei primi mesi del 2015, e lasciare al loro destino i 500 fra addetti diretti e dell’indotto della storica fabbrica di componentistica auto. «Non apprezzo la rigidità con cui Trw sta affrontando la vertenza», fa sapere il viceministro Claudio De Vincenti. Presa di posizione che sarebbe anche lodevole. Se non fosse che il governo non ha altre idee, se non quella di prolungare l’agonia della fabbrica per soli sei mesi.

Testimone diretto dell’inutile (se non dannoso) incontro al ministero, Michele De Palma riepiloga la situazione: «Una multinazionale decide di chiudere uno stabilimento, e i lavoratori in sciopero da più di un mese conquistano un tavolo di negoziato con il governo. Ma la Trw dice di no al governo sulla presenza del board americano. Dice di no a togliere dal tavolo la chiusura. Dice di no ai contratti di solidarietà per un anno. Infine il governo propone sei mesi di contratto di solidarietà, e l’azienda prende tempo. E’ dura combattere così».

All’amara riflessione del giovane dirigente Fiom, si accoppia la sacrosanta incavolatura della Rsu: «Il governo non ci ha dato una mano nella trattativa – racconta Alessandro Brusadin a nome di Fiom, Fim e Uilm – anzi a un certo punto è stato destabilizzante: ha preso atto del no dell’azienda ad andare avanti con la produzione almeno per un altro anno o per dieci mesi, come avevano chiesto i sindacati, e ha proposto unilateralmente di proseguire l’attività per sei mesi. Abbiamo risposto che sei mesi non bastano certo per trovare alternative. Alla fine poi la discussione sugli incentivi ha preso anche un profilo più basso».

Sul verbale della riunione al ministero dello sviluppo economico c’è annotato che la multinazionale Usa, recentemente ceduta ai tedeschi di Zf, non è disposta a mettere più di 23 milioni di euro per gli «incentivi all’esodo». Tre milioni in più rispetto all’offerta iniziale, ma è un limite che Trw considera invalicabile. «Se si considera anche il 23% che ogni operaio dovrà lasciare allo Stato con questa tassazione – tira le somme Brusadin – fanno meno di 50mila euro netti ad operaio. Noi abbiamo rifiutato, e chiesto una volta ancora di far continuare la produzione almeno per un altro anno. Chiedendo al tempo stesso di alzare a 31 milioni gli incentivi». Risultato: riunione chiusa bruscamente – dopo 18 ore ininterrotte di discussione – e conferma di Trw della chiusura a fine mese dello stabilimento labronico. Per far passare in allegria le feste natalizie…

Oggi sindacati e azienda dovrebbero incontrarsi di nuovo. Ma conferme non ce ne sono. Comunque Luciano Gabrielli insiste: «La richiesta di proseguire l’attività – spiega il segretario della Fiom livornese – nasce perché Trw deve assumersi la responsabilità sociale nei confronti del territorio, dando la possibilità agli operai di stare in piedi. Mentre al ministero le istituzioni locali e i sindacati stanno costruendo un accordo di programma per l’area industriale livornese». In gravissima crisi, non certo da oggi, anche perché è (stata) uno dei poli nazionali della componentistica auto. Su questo settore, di un comparto strategico per l’industria italiana, tira le somme Maurizio Landini: «Sull’auto e la mobilità stiamo pagando il fatto che non c’è una politica industriale degna di questo nome. Quindi siamo di fronte al fatto che la Fiat in quanto tale non esiste più ma ci sono due gruppi diversi che hanno sedi diverse, e tutto il settore della componentistica sta pagando un prezzo molto pesante. Se Fca fa davvero quello che ha detto e il progetto si realizza, non si parla più di un milione e 400mila auto prodotte in Italia, ma si arriva appena a 700 mila. E si ha un ridimensionamento della componentistica». Con gli effetti che a Livorno possono già raccontare gli operai ex Delphi. Vittime di una autentica via crucis, che gli operai Trw non hanno alcuna intenzione di provare sulla loro pelle.