Il futuro è di moda in questo periodo. Forse a causa della difficoltà a comprendere la complessità del presente molti si cimentano nel prevederlo, visto che non è necessario verificare la profezia immediatamente.

È a questa categoria che appartiene il secondo libro dello storico israeliano Yuval Noah Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro (Bompiani, pp.665, euro 25). Un testo stimolante e anche godibile, anche se ipotizza un futuro terribilmente dark fatto di superuomini quasi immortali, che si sentono simili a divinità e il resto dell’umanità che deve trovare un modo per ingannare il tempo, quando non è preda della miseria. La cui sopravvivenza non ha alcuna importanza. Il tutto avverrebbe sotto l’occhio controllore di cyborg e intelligenze artificiali basate sui dati, capaci di elaborare in autonomia algoritmi in grado di interpretare e anticipare il senso e il funzionamento di qualsiasi forma di vita organica.

Yuval Harari - 'Sapiens - A Brief History of Humankind'

LA TESI DI HARARI è molto provocatoria: non sarà il disastro energetico o quello nucleare e nemmeno la bomba ambientale a minare il futuro degli esseri umani, ma l’esito funesto avverrà per mano del desiderio di cancellare la morte, ottenere la felicità, colmando ogni bisogno e diventando come dèi, di una manciata di persone che si trovano al centro dello sviluppo della ricerca di punta.

La grande cavalcata nella storia dell’umanità ha alcuni punti di snodo interessanti, sebbene forse necessariamente troppo superficiali, quando Harari suggerisce come religione, scienza e politica si intreccino inestricabilmente nella storia del mondo occidentale. Una pecca evidente del libro è una focalizzazione anche dichiarata sullo sviluppo e l’evoluzione dell’Occidente. La storia dell’umanità è la storia dell’ascesa del maschio occidentale, qualunque sia il suo orientamento sessuale, e su questo non ci sono tentennamenti.

L’INTERESSE del libro consiste non tanto nella previsione sul futuro, ma in una proposta di diagnosi sul presente e sulle condizioni che lo hanno determinato. La prospettiva interessante di Harari è lo sguardo sulla scienza e sulla religione non come istituzioni necessariamente conflittuali, ma come prospettive sulla realtà che non hanno interesse per la verità, piuttosto sono identificate come portatrici di progetti egemonici: la religione si occupa di difendere l’ordine, mentre la scienza – o dovremmo dire una certa scienza, sebbene il testo sia molto tranchant a riguardo – desidera e lotta per il potere. Molto spesso nella storia, scienza e religione sono state alleate, come nell’antico Egitto e nella civiltà greca e poi romana. Solo con la rivoluzione scientifica, che Harari chiama umanistica, si è creato un conflitto tra le due istituzioni.

Il conflitto riguardava la definizione della scala di valori per il mantenimento dell’ordine che il nuovo sistema di potere basato sull’uomo aveva messo in discussione. Lo storico israeliano chiama religione umanista l’insieme di valori legati alla capacità della soggettività moderna di esercitare libertà e conoscenza, basandosi solo sulle proprie percezioni e sulle misurazioni dei fenomeni, frutto della scienza matematica, in parte recuperata dall’antichità e in parte rinnovata tra Cinquecento e Seicento. Fu soltanto questo progetto di umanità liberata dal giogo dell’autorità divina che si contrappose all’istanza della religione cristiana.

Tuttavia il credo umanista si divise presto in diverse prospettive. L’umanesimo liberale che prevedeva che nulla si potesse opporre alla libertà individuale, quello evoluzionista che credeva nella possibilità di un potenziamento dell’essere umano e quello socialista e comunista secondo cui si doveva guardare alle condizioni materiali degli esseri umani per correggere le ingiustizie e far prosperare l’umanità considerata come universale. Le visioni politiche divergenti, descritte nel volume piuttosto schematicamente, talvolta senza rigore per amor di retorica, si confrontarono durante la Seconda guerra mondiale con un’alleanza tra comunismo e liberalismo per sconfiggere l’umanesimo evoluzionista nella versione razzista del nazismo. Dopo aver battuto il nazismo combatterono tra loro durante la guerra fredda. E dopo la caduta del muro di Berlino il liberalismo umanista rimase l’unica forza ideologica in campo.

LA TESI DEL LIBRO è che dall’interno del liberalismo la scienza e la tecnologia stanno minando le basi stesse della fiducia nella libertà individuale. Le neuroscienze e la psicologia sperimentale, infatti, hanno confermato la soggettività debole, già definita dalla psicoanalisi e dalla crisi novecentesca del soggetto. L’individuo si divide continuamente, è un insieme di forze che si confrontano in eterno conflitto; inoltre una parte della biologia ritiene che ogni organismo possa essere rappresentato come un insieme di algoritmi che ne determinano il funzionamento sulla base di componenti innate (il genoma) e di un insieme di casualità. E intanto l’intelligenza artificiale sta cercando di definire metodi per identificare i comportamenti intelligenti, sia pure separandoli dalla coscienza, troppo difficile da riprodurre.

La nuova religione del «datismo» i cui sacerdoti risiedono soprattutto nella Silicon Valley, ritiene che tutto quello di cui abbiamo bisogno sono le informazioni che provengono dai dati. Dati che non possono essere interpretati dall’intelligenza umana, perché questa non è in grado di contenerne una mole così ingente per estrarne i tratti salienti e costruire su di essi nuova conoscenza.

I NUOVI SACERDOTI, gli unici, ad avviso di Harari, in grado di impensierire seriamente il mondo occidentale così come lo conosciamo, potrebbero liberarsi di gran parte degli esseri umani considerati inutili e potenziarne una piccola parte rendendoli pressoché immortali e capaci di realizzare tutti i loro desideri. Sarebbe cioè una nuova versione dell’umanesimo evoluzionista, non basata sul concetto di razza, ma sulla definizione di uno standard di superumano in grado di sostituire l’essere umano normale, proprio come gli esseri umani hanno fatto nella storia dei Sapiens con molte altre specie animali. Nel delirio della nuova religione dei dati, nata dallo strapotere del liberalismo senza più rivali, potrebbe finire schiacciato anche il mondo della libertà individuale alla base dei suoi valori.

Al di là di alcune semplificazioni a volte colpevoli, a volte perfino irritanti, il libro non parla quindi del futuro, bensì propone un caveat al presente: cedere alla potente religione della Big Science al centro della Silicon Valley significa rinunciare all’idea di essere umano che abbiamo costruito nella rivoluzione scientifica nata alla fine del Rinascimento.

LA SCELTA di quale scienza abbracciare resta tutta politica, una scelta di valori – la morte o meno di dio non ha importanza in questo contesto. Presto, o magari già da ora, le masse non avranno più voce in capitolo nelle dinamiche decisionali chiave dello sviluppo tecnologico. Eppure, definire gli organismi viventi come un insieme complesso di algoritmi e considerare intelligente la decisione di un dispositivo artificiale che non è basata sull’assunzione consapevole di responsabilità rispetto alle sue conseguenze, potrebbe rivelarsi fatale anche per quegli esseri umani che ritengono di essere in controllo di questi processi. Se «il sogno della ragione» genera mostri, è ancora possibile cacciarli dopo che sono stati generati da un’élite privilegiata e potente, eppure incapace di pensare e riconoscere i propri limiti? Questa domanda ha bisogno di risposte nella politica del presente.