Alcuni sostenitori del Sì chiamano in causa la riforma del numero dei parlamentari approvata nel 1963 per millantare un atteggiamento più rispettoso dello spirito costituente di quello dei fautori del No.

Com’è oramai noto, il testo originario della Costituzione non stabiliva un numero fisso di deputati e senatori, ma stabiliva dovesse esserci un deputato ogni 80mila abitanti (o frazione superiore ai 40mila) e un senatore ogni 200mila abitanti (o frazione superiore ai 100mila). In tal modo, all’aumento nel tempo della popolazione, causato dalle dinamiche demografiche, sarebbe corrisposto l’aumento del numero dei parlamentari.

E, in effetti, la Camera passò dai 574 deputati del 1948, ai 590 del 1953 ai 596 del 1958; mentre il Senato salì dai 237 senatori del 1948 e del 1953 ai 246 del 1958. Tale meccanismo, unitamente alla durata differenziata dei due rami del Parlamento (inizialmente stabilita in 5 anni per la Camera e in 6 anni per il Senato), fu messo presto in discussione, dando avvio a una discussione parlamentare lunga e articolata.

Inizialmente, si pensò di accentuare il carattere esperienziale del Senato con l’aumento dei senatori a vita e la riserva di una quota di eletti a candidati con anzianità ed esperienza in precedenti incarichi. Successivamente, si mise in discussione, perché troppo elevato, il rapporto di un eletto ogni 200mila abitanti, immaginando di abbassarlo a uno ogni 180mila. Contestualmente, altre proposte di revisione costituzionale, estese anche alla Camera, proponevano il superamento del criterio originario, basato sul rapporto eletto/abitanti, a favore della determinazione di un numero fisso di parlamentari.

Seguendo questa via, nel 1961 si decise che il Senato avrebbe dovuto avere una composizione numerica corrispondente alla metà di quella della Camera; quindi si calcolò, con il criterio fissato dai costituenti, quale avrebbe dovuto essere il numero dei deputati in rapporto alla popolazione. Si ottennero così 600 deputati, a cui sarebbero, quindi, corrisposti 300 senatori.

Prima che la proposta di riforma, sino a quel momento discussa in Commissione, venisse portata all’esame dell’aula passarono tuttavia due anni, nel corso dei quali la dinamica demografica incrementò la popolazione. A quel punto – si era ormai nel 1963 – l’applicazione del criterio originario avrebbe prodotto un numero dei deputati pari a 630. Che fare?

Con chiare parole, il senatore Tozzi Condivi, relatore del disegno di legge costituzionale spiegò che la Commissione affari costituzionali del Senato «non ha creduto poter accettare la fissazione di un numero di ben 30 unità inferiore a quello risultante dal rapporto con la popolazione attualmente esistente. (…) Non dunque la Commissione vi propone un aumento del numero dei deputati, vi propone di fissare per il futuro il numero dei deputati a quello che attualmente risulta per i dati di aumento della popolazione».

È da qui – da un’ultima applicazione del criterio sancito dai costituenti – che viene il numero di 630 deputati, poi fissato nella legge di riforma della Costituzione assieme al corrispondente numero di 315 senatori.

Dice, dunque, una cosa radicalmente errata chi afferma che nel 1963 la Democrazia cristiana e i suoi alleati decisero un aumento del numero dei parlamentari e che oggi, con il Sì al referendum, si tornerebbe allo spirito dei costituenti. Al contrario, nel 1963 fu stabilita la stabilizzazione del numero dei parlamentari per tutte le Legislature a venire.

È sufficiente, per controprova, procurarsi una calcolatrice e dividere il numero della popolazione italiana rilevata dall’ultimo censimento Istat – 59.433.744 unità – per 80mila e per 200mila: si ottengono 743 deputati e 297 senatori, per un totale di 1.040 parlamentari contro i 945 odierni. Insomma: se la riforma del 1963 non ci fosse stata, avremmo oggi un centinaio di parlamentari in più rispetto a quelli attuali.

Esattamente il contrario di quel che affermano alcuni sostenitori del Sì, la cui posizione è, dunque, in linea di continuità non con la visione costituente, ma con le misure di contenimento numerico decise nel 1963.