«Uno: tutti gli impianti sono in passivo; due: il clima è cambiato; tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese». Con queste parole l’alpinista Fausto De Stefani nel 2009 commentava la crisi dei comprensori sciistici e l’ossessione, alimentata con soldi rigorosamente pubblici, di tenere in vita e/o costruire nuovi impianti a tutti i costi.
I dati statistici e scientifici danno ragione a De Stefani: solo al Nord gli impianti chiusi sono circa 200, i piloni e i tralicci abbandonati 4000, su 300 grandi stazioni solo 80 hanno bilanci in attivo; lo zero termico negli ultimi 20 anni si è alzato di 200 metri e nel 2030, sostengono i climatologi, i centri a valle delle stazioni invernali nel 72% dei casi si troveranno sotto il limite. L’Ocse prevede che, sempre per quella data, si scierà solo sopra i 2000 metri e il Cmcc prevede che dal 2030 in poi una perdita di 700 milioni di euro l’anno. Le stagioni sciistiche sono più corte, da 35-40 giorni (Gran Sasso) a un massimo di 90, per questo sono attivi solo sulle Alpi 40 mila cannoni artificiali: ogni metro cubo di neve programmata costa 4 euro e 3 kilowatt di energia elettrica e 300 mila metri cubi di acqua per ogni ettaro di piste!
La situazione sul Gran Sasso non va meglio, anzi: il Centro turistico del Gran Sasso, ente gestore, ormai è finanziariamente al dissesto, i giorni di apertura degli impianti non superano i 40 l’anno, la morfologia e il clima della montagna rendono arduo aumentare l’ultimo parametro. Cinque tra seggiovie e skilift abbandonati. Eppure da anni il pensiero unico cementizio ed affaristico, trasversale ad ogni schieramento, cerca di realizzare il Piano d’area. Un decennio fa, l’allora sottosegretario di An Nino Sospiri, sponsorizzò questo strumento di variante urbanistica che prevedeva la costruzione di 7 nuovi impianti, l’aumento di cubature degli edifici a valle delle piste ed altri interventi “minori”. L’ amministrazione comunale allora di centrodestra con 38 voti a favore e due contro (Prc,Idv), approvò la variante. Un mese fa l’amministrazione comunale di centrosinistra con 24 voti a favore e due contro (Prc, ex Idv ora lista civica) ha confermato e, novità, finanziato quel Piano. Il finanziamento viene dal 5% dei fondi Cipe, in tutto due miliardi destinati alla ricostruzione della città e da questi stornati 100 milioni per sostenere le attività produttive; di questi 100 milioni, 15 andranno alla costruzione di nuovi impianti. Prossimo passo sarà la privatizzazione della gestione degli impianti, costruiti con soldi pubblici.
L’area interessata dall’intervento ricade nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, le zone di realizzazione degli impianti sono quasi tutte zone S.I.C. (sito interesse comunitario ad alto pregio ambientale), che saranno interessate da sbancamenti per le piste e per i parcheggi, per la sistemazione di piloni alti tra i 4 e gli 8 metri, introduzione di gasex, realizzazione di stazioni di arrivo e partenza alte 8 metri e larghe 20, sospese sui tralicci. Di Parco Nazionale, cioè di un luogo tutelato e conservato, rimarrà ben poco.
Il tutto tra un decennio, nella migliore delle ipotesi, sarà una cattedrale nel deserto.
Le associazioni ambientaliste riunite sotto la sigla «Emergenzambiente Abruzzo» ed altre soggettività locali da anni offrono alternative. Propongono di utilizzare quei fondi per creare una rete di sentieri per collegare e riaprire i rifugi (solo due funzionanti, gli altri chiusi), rinaturalizzare ampie zone prevedendo la creazione di cooperative, sostenere le attività agrosilvopastorali e l’allevamento di qualità, riqualificare i borghi medioevali, sostenere attrattive storico-culturali. Sono solo alcuni esempi. Un dato su tutti mette a tacere quanti sostengono che solo l’impiantistica pesante può generare posti di lavoro: dal 3 al 5 agosto, da circa 50 anni, si svolge a Campo Imperatore la rassegna ovina, che vede la partecipazione di 15/20 mila persone, tra curiosi, addetti al settore e turisti, la stessa cifra di un’intera stagione sciistica!
Non bastano queste evidenze, la monocultura dello sci da impianto domina incontrastata, si ripropone la contrapposizione arcaica tra tutela dell’ambiente e creazione di posti di lavoro. Dice Messner: «Solo un ambiente intatto potrà reggere il confronto economico con il clima che si vendica della nostra follia». Per il Gran Sasso non c’è pace.
*psicoterapeuta, capogruppo Prc nel Consiglio comunale de L’Aquila