I sindacati assai dubbiosi sugli Stati generali, il ministro Patuanelli in grande difficoltà sull’ex Ilva e il fantomatico «Piano nazionale sulla siderurgia».

In attesa della convocazione per l’appuntamento di giovedì, Cgil Cisl e Uil ribadiscono la loro posizione: «Bene il dialogo ma serve un patto sociale su punti specifici e in fretta perché la crisi economica morde già». Anche chi, come la Cisl, è sempre favorevole al confronto, questa volta mette paletti precisi a Conte: «L’appuntamento deve diventare un momento importante di analisi comune e di condivisone di alcune priorità: sbloccare le infrastrutture, fare l’esatto contrario di quanto fatto in questi anni, investire in ricerca, innovazione, formazione e sanità – spiega la segretaria generale Annamaria Furlan – . Bisogna arrivare a un accordo tra governo, regioni e parti sociali per dire che cosa vogliamo creare nel futuro».

Prima degli Stati generali però i sindacati hanno un altro appuntamento più urgente e delicato con il governo. Questa mattina alle 10 è prevista la teleconferenza sul piano industriale di Arcelor Mittal. La situazione è ingarbugliata e la strategia del governo lo appare ancora di più. Venerdì sera, quando è arrivato il piano industriale di Lucia Morselli, il Mise ha deciso di non renderlo pubblico – nessuno vuole dare cattive notizie, specie se in mano non ha alternative – e le indiscrezioni di stampa sono uscite tutte da fonte aziendale, specie da Taranto.

Sabato Patuanelli ha annunciato un fantomatico «piano nazionale dell’acciaio» che affronti le altre crisi siderurgiche: oltre all’ex Ilva e i suoi 11mila dipendenti c’è Terni che i tedeschi di Thyssen vogliano vendere e Piombino con gli altri indiani di Jindal in ritardo pauroso sul piano industriale.

Ma il nodo Mittal è certamente il passaggio decisivo e soprattutto ravvicinato. Nel M5s la tentazione è quella di rompere con Mittal e portare avanti una nazionalizzazione e una possibile riconversione – come da programma elettorale del movimento – sfruttando l’ormai scontato ingresso dello stato.

Facile a dirsi, quasi impossibile a farsi in tempi brevi. Non bastasse la contrarietà del Pd e del ministro Gualtieri che formalmente mette i soldi, la domanda a cui neanche Patuanelli sa rispondere è: in quale contenitore entrerebbero le risorse pubbliche? Arcelor Mittal ha tempo fino a fine ottobre per uscire dall’acquisto e pagare la penale prevista da 500 milioni, al netto della battaglia legale che si riaprirebbe nel procedimento mai chiuso a Milano. Continuando così – altoforni fermi a Taranto e tutti in cassa integrazione – la situazione sociale esplosiva non può reggere altri mesi di incertezza. In più il governo non ha pronte alternative per partner industriali che possano gestire un colosso come la più grande acciaieria in Europa e di certo Arvedi e Marcegaglia (piccoli produttori italiani) non sono in grado di farlo.

L’unica alternativa dunque sarebbe far riprendere subito l’ex Ilva in mano alla amministrazione straordinaria pubblica, quella a cui Mittal ha proibito l’ingresso a Taranto per settimane, fino a ieri quando gli sessi commissari sono stati contestati dagli operai in presidio.

Insomma, un vero rompicapo. La cui unica soluzione possibile è quella proposta unitariamente da Fim, Fiom e Uilm: sfruttare l’ingresso dello stato nel capitale della società con Mittal per imporre agli indiani il rispetto dell’accordo del settembre 2018 con zero esuberi e piano ambientale accelerato.

Come in ogni passaggio delicao dell’ormai infinita vicenda ex Ilva, oggi alle 10 in teleconferenza i sindacati dei metalmeccanici saranno affiancati dalle segreterie confederali: al tavolo ci saranno anche Landini, Sbarra e Barbagallo.