Non lo si dirà mai abbastanza: per democratizzare davvero l’Unione europea è necessaria una società civile europea. Senza corpi intermedi forti e visibili, l’Ue resterà fatalmente nelle mani delle tecnocrazie. Per questa ragione quel che accade oggi a Bruxelles è molto importante: le organizzazioni sindacali di tutta Europa, sotto l’ombrello della loro Confederazione continentale (Ces), sfilano insieme a sostegno di una piattaforma comune. Unite, al di là delle divisioni nazionali, per chiedere «un nuovo corso», radicalmente diverso da quello seguito sino ad ora dalle istituzioni comunitarie e dai governi degli stati.

Nella capitale belga sono attese decine di migliaia di lavoratori e delegati sindacali, provenienti dalla «periferia» e dal «centro», dal Portogallo come dalla Germania, dalla Spagna (dove ieri c’è stata una sorta di anteprima, con manifestazioni in decine di città) all’Olanda.

Condizioni diverse, ma rivendicazioni comuni: «Investimenti per la crescita sostenibile e l’occupazione di qualità, fine dell’evasione e delle frodi fiscali, flessibilità nell’applicazione delle norme sui disavanzi pubblici». E quindi: no alle politiche di austerità, «volte a rassicurare i mercati piuttosto che a garantire il progresso sociale» e no a un modello di Ue «che costringa i lavoratori a competere sulla base di retribuzioni al ribasso, cattive condizioni di lavoro e tassazioni squilibrate».

[do action=”citazione”]La proposta-chiave delle organizzazioni sindacali consiste in un piano di investimenti pari al 2% annuo del Pil europeo per dieci anni[/do]

Soldi da utilizzare per rilanciare davvero economia e occupazione nell’industria, nei servizi, nel welfare e nei settori della ricerca. Risorse che non ci sono? Dipende dalla volontà politica. La Ces ricorda che dal 2008 per salvare il settore finanziario sono stati spesi circa mille miliardi (il solo fondo «salva-banche» tedesco Soffin ha un volume di 480 miliardi di euro), e altrettanti ne vengono sottratti annualmente in modo illecito al fisco.

L’ammontare del piano d’investimenti proposto dai sindacati è di 250 miliardi annui, da sostenere anche attraverso l’emissione di buoni garantiti a livello europeo – quelli che la cancelliera tedesca Angela Merkel vede come il fumo negli occhi. A differenza dei soldi finiti alle banche, che non si sono quasi mai trasformati in credito alle imprese, quelli del piano della Ces avrebbero invece un sicuro ritorno positivo: stando alla valutazione della confederazione, fino a 11 milioni di nuovi posti di lavoro, oltre agli introiti fiscali da un’economia che tornerebbe a girare.

Il voto per il rinnovo dell’Europarlamento del 25 maggio si avvicina, e la manifestazione di oggi è anche un messaggio agli elettori e al mondo politico europeo: la Ces «chiede a tutti i cittadini di sostenere i candidati che promuovono un’Europa progressista, un’Europa inclusiva e che operi per i diritti dei suoi cittadini». Sostegno e attenzione alla mobilitazione sono arrivati da eurosocialisti, verdi e dalla Sinistra europea: nelle forze progressiste del continente le organizzazioni sindacali sono ancora tenute in seria considerazione.

A differenza di quanto avviene nella «nuova» Italia di Matteo Renzi, dove ignorare le rappresentanze dei lavoratori è diventato un vanto. E pensare che proprio sotto la guida dell’ex sindaco il Pd è diventato membro a tutti gli effetti del Partito socialista europeo. Anomalie di casa nostra, di cui evidentemente il candidato presidente Schulz non è al corrente.